Il Pd riparte dalla Dc. Franceschini:
Ciò che resta dei veltroniani è sparso a macchia di leopardo qua e là, gli ulivisti sono raccolti in un angolo della sala, mentre Francesco Rutelli e Enrico Letta hanno preferito mescolarsi tra i 1230 delegati (meno della metà degli oltre 2800 previsti) dell'Assemblea nazionale del Pd. Non c'è alcuna tensione e basterebbe questo per dare il senso di una giornata che si preannunciava scoppiettante ma che alla fine è stata «normalizzata» dall'opera certosina di un apparato che ha lavorato fino all'ultimo per evitare sorprese. «Quando venerdì sera Dario ha ricevuto la lettera di amministratori locali del Pd che dichiaravano il loro sostegno - spiega un deputato di spicco dell'area ex Popolare - abbiamo capito che era fatta». Insomma, anche se dal palco Dario Franceschini spiega orgoglioso che lui «non ha padrini né protettori», l'immagine offerta dalla platea assembleare è un'altra. In molti mugugnano, protestano per un decisione imposta dall'alto, ma lo fanno sommessamente. Alla fine, compatti, si vota il «prescelto». Un po' come accadeva nel Pci e nella Dc. In fondo lo ha già spiegato chiaramente Anna Finocchiaro aprendo i lavori: «Noi non torniamo indietro, non abbiamo paura, non è l'8 settembre che ci attende. Questo è un partito non un gregge che si disperde alla prima sassata». E in un partito la disciplina viene prima di tutto. Anche al costo di sembrare delle pecore. Così il patto stretto tra le varie anime del Pd (in primis Marini e D'Alema) regge. Più per la necessità di non scomparire prematuramente che per convinzione. In prima fila si scherza e si ride in attesa che il rito si concluda. Si vota subito per decidere se, come prevede lo statuto, l'assemblea debba eleggere il nuovo segretario o debba sciogliersi e convocare le primarie. Sul palco, quasi fosse una partita di calcio terminata ai rigori, salgono cinque sostenitori per ogni opzione. Arturo Parisi, Carlo Rognoni, Paola Concia, Gad Lerner e Enrico Morando invocano il voto popolare. Piero Fassino, Rosy Bindi, Matteo Tortolini (giovane segretario del Pd di Piombino ndr), Vasco Errani e Ermete Realacci sostengono l'elezione immediata di Franceschini. L'esito è netto e fuga, se ancora ce ne fosse bisogno, gli ultimi dubbi di chi sperava in un esito non scontato: 1006 scelgono l'elezione, 207 le primarie, 16 si astengono. Il resto è pura forma. Franceschini con un discorso applauditissimo chiarisce che, d'ora in poi, il partito liquido di Walter Veltroni verrà cancellato. Il governo ombra, così come il coordinamento, verranno azzerati. L'ipotesi è che vengano istituiti una direzione politica ristretta ed una allargata ai rappresentanti del territorio. Franceschini assicura: «Non ci saranno trattative. Sceglierò io. Chi batte le mani adesso poi non mi venga a chiedere che qualcuno venga eletto». In platea c'è chi sorride spiegando che il neosegretario, da giorni, sta trattando con tutti e ha più volte chiesto a Bersani, Letta e Rutelli di entrare nella segreteria. Finisce con 1047 voti a sostegno di Franceschini, 92 per Parisi che ha deciso di sfidarlo e 119 astenuti. E qualcuno pensa: ma se fuori da questa sala il patto delle nomenklature non reggesse?