Caro Dario, ora voglio un Pd che non sia più diessino

Mi sono stupito anche io, avrei immaginato un passaggio più burocratico, meno partecipato. Invece il padiglione 1 della nuova Fiera di Roma che ospitava la pletorica assemblea costituente del Pd, che pure sonnecchiava quando Dario ha preso la parola, si è scosso. Un segno positivo. Un buon inizio. Franceschini non ha bisogno di consigli. O forse sì. Io mi sento di sottolineare un elemento. Conosco bene il nuovo segretario, vent'anni fa io ero ancora minorenne ma ero nella direzione nazionale dei giovani democristiani in cui lui era l'autorevole direttore della rivista Nuova Politica. Franceschini ha avuto una storia da numero due: vicesegretario di Franco Marini, di Francesco Rutelli, di Walter Veltroni, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Massimo D'Alema. Ora si sperimenta per la prima volta nel ruolo di numero uno. E deve portare con lui la sua storia, che viene da lontano. So per certo che ieri Dario ha pensato con emozione a Benigno Zaccagnini, lo straordinario segretario della Dc della seconda metà negli Anni Settanta, eletto in circostanze analoghe alla guida del maggiore partito del paese. "Zac" doveva essere un segretario di transizione, doveva durare pochi mesi, invece in un celebre congresso del 1976 sconfisse Arnaldo Forlani e restò alla guida del partito, restando poi schiacciato anche umanamente dal dramma del caso Moro. Ecco, penso che Franceschini sia uno Zaccagnini di inizio millennio. Arriva come segretario di transizione e può diventare il leader capace di battere il neo-doroteismo diessino, vera piaga del Pd. Spero che a ottobre ci sia una sfida congressuale tra Franceschini e Bersani e che Franceschini vinca. Sarebbe il bene del Partito democratico, che può ambire a tornare al governo del paese solo convincendo porzioni di elettorato moderato a votarlo.