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Oggi ci sarà il primo atto della cerimonia degli addii

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Tanto «oscuro», a dire la verità, il male però non è. Esso deriva dall'assenza di una cultura politica di riferimento che la sinistra non è stata in grado di costruire e, dunque, di elaborare un progetto di modernizzazione sociale e di governo del Paese coerente, credibile, praticabile. Al contrario, ha alimentato suggestioni ed illusioni come surrogati che non potevano produrre una seria politica riformista per attuare la quale, si disse, serviva un «partito nuovo» e non un «nuovo partito». Nacque il Pd che molte aspettative suscitò, ma nessuna è riuscita a realizzarne per l'incapacità della sua classe dirigente di fare i conti con storie incompatibili in uno stesso contenitore. La verità, insomma, per quanto dura, e con la quale dovrebbero confrontarsi i democrats piuttosto che avvitarsi in macchinose sperimentazioni burocratiche proprie di nomenclature senz'anima, né coraggio intellettuale, è molto più semplice di quanto possa apparire. La sinistra dopo la fine del comunismo, nell'impossibilità di rifondarlo ideologicamente e politicamente, si è trastullata con derivati precari di un colorato amalgama pop privo di interna coerenza nel quale ha tentato maldestramente di far convivere tutto ed il contrario di tutto purché risultasse politicamente corretto. Non è rimasta neppure la sbiadita immagine del rigore gramsciano o dell'influenza rodaniana ed ha sposato, ritenendo di colmare il vuoto, di volta in volta il clintonismo e la terza via di Blair, fino ad arrivare ad appuntarsi sul petto il «We Can» obamiano. Suggestioni appunto. Niente di più. Ed è quanto meno stravagante che Veltroni, autentico mago della pioggia, sia stato capace, per ben due volte, di trascinare la sua parte politica dietro inafferrabili nuvole consapevole di non poterle afferrare, mentre il Paese guardava altrove come le prove elettorali recenti si sono incaricate di dimostrare. Dunque, dopo il comunismo nulla. I ragazzi di Berlinguer sono rimasti dove li aveva lasciati l'amato leader, coraggioso e lungimirante nel prevedere la crisi di un mondo che pure era il suo. Ma questi giovanotti della Fgci invecchiati male, rancorosi e devastati dal successo di Berlusconi, sono destinati a restare appesi ad un'idea, più o meno annegata in una melassa socialdemocratica dall'incerto sapore: un po' poco per giustificare la creazione dell'ennesimo partito politico. Di questa deficienza se ne stanno accorgendo i loro compagni di viaggio provenienti dal mondo laico e cattolico i quali, pentiti, cominciano a guardare altrove. I Rutelli, i Letta, i Parisi, i Marini, i Fioroni, le Binetti non hanno nulla a che fare con la variopinta comunità dei superstiti «figiciotti» e pensano a come uscire dal cul de sac nel quale si sono imprudentemente infilati. Perciò oggi, all'Assemblea del Pd, andrà in scena non il tentativo di ricomporre fratture, ma il primo atto della cerimonia degli addii. Per quello finale c'è ancora tempo. Ma non tanto. Se ne faccia una ragione Franceschini.

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