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Le colpevoli ammissioni di Veltroni

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Un clima che sconcerta, ma non stupisce, perché le dimissioni di Veltroni sono in piena continuità con la sua segreteria: lasciano il Pd in mezzo al guado, non offrono nessuno spunto di rinnovamento e soprattutto consegnano ancora di più il partito alla nomenclatura. Chi si aspettava che il gesto di rottura del segretario potesse innescare una spirale virtuosa, un ritorno del potere di scelta indirizzo al corpo degli uomini e delle donne che vi si riconoscono, è subito rimasto deluso. I tempi decisi da Veltroni non permettono infatti nessuna partecipazione della "base" nelle scelte. Invano, Massimo Cacciari e Sergio Chiamparino, due sindaci settentrionali legati al tessuto sociale delle loro realtà, hanno chiesto una gestione collegiale della crisi. Macché. Il nuovo segretario sarà il vecchio vice segretario, Dario Franceschini e questa scelta sarà frutto tutta e solo della solita, defatigante, sterile mediazione tra i boiardi della nomenklatura. Magari, come suggerisce qualcuno, con la collegialità dei segretari regionali: "una soluzione da Yugoslavia alla vigilia della guerra civile", commenta un arlamentare esasperato in Transatlantico. Il tragicomico è che un vero congresso, non si può fare. Innanzitutto perché i tempi sciaguratamente scelti da Veltroni, impediscono l'apertura di una fase di scontro, di dibattito duro e franco -la grande carenza del Pd veltroniano- alla vigilia di cruciali elezioni amministrative (che il Pd rischia ora di perdere anche nelle sue roccaforti tosco-emiliane). Poi perché, qui il lato comico della questione, il partito, semplicemente, non c'è. Veltroni, infatti, non ha neanche organizzato il tesseramento, e ieri l'Unità spiegava che mentre i soci fondatori -nelle primarie del 14 ottobre 2007- erano stati un milione, oggi i tesserati sono solo 350.000 (di cui 70.000 nella sola Campania) e portare a termine un tesseramento serio in questa fase è sicuramente inopportuno, quantomeno. Niente congresso, dunque, niente primarie, quantomeno sino a ottobre, dopo la -prevedibile- sconfitta delle europee e amministrative. Da qui ad allora una reggenza Franceschini - ma la Velina Rossa dalemiana già avanza la controcandidatura di Fassino - con la promessa piena di una continuità nello stallo, con la garanzia sicura del continuo placcaggio reciproco delle "componenti". Un caos disarmante, aggravato dalle incredibili denunce lanciate ieri da Veltroni contro "la sinistra salottiera e giustizialista", quasi che l'alleanza con l'Idv e la subordinazione a Di Pietro, non sia stata scelta sua, e quasi che la frequentazione dei salotti, inclusi quelli newyorkesi, non sia stato uno dei tratti più sconcertanti della seconda, fallimentare, segreteria Veltroni.

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