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Il problema di Veltroni è il Pci

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È quindi giusto riconoscere all'ex sindaco di Roma l'onore delle armi, senza però evitare di svolgere un'analisi, tanto serena quanto impietosa, su quanto accade nella sinistra italiana. Va detto subito che il problema principale è noto e per giunta viene da lontano. Questo problema si chiama Pci: partito comunista italiano. Già, perché quest'ultimo periodo dimostra (ancora una volta) che quando la sinistra si propone con un volto ed un leader che viene da quel partito trova negli italiani una ostilità insormontabile, esattamente come accadde a Massimo D'Alema nel 2000, cioè l'anno della clamorosa sconfitta alle elezioni regionali. Le parole stanno a zero: ex (o post) comunisti possono essere spalla ma non protagonista, per dirla in gergo teatrale. Ecco la lezione che va compresa, una lezione che viene dal popolo e non certo dall'«establishment», che anzi corteggia da 15 anni gli ex dirigenti del Pci con discutibile persistenza. La sinistra italiana vive la crisi che c'è per quella parte politica in tutto il mondo, come dimostrano, ad esempio, le elezioni recenti in Israele. Un Paese dove la tradizione laburista è parte integrante della nazione. Ebbene pochi giorni fa i partiti moderati e di destra hanno fatto man bassa di voti. In Italia il volto pacioso di Romano Prodi ha fornito una copertura spendibile all'elettorato per oltre dieci anni, riuscendo anche a vincere (due volte, o meglio una volta e mezza) le elezioni. Ma non riuscendo mai a governare, proprio a causa dell'esistenza di una questione irrisolta. Quella questione si chiama Pci e porta i nomi di tutti i dirgenti che hanno provato in ogni modo (ma senza riuscirci) a togliersi di dosso quel marchio negativo. Sono D'Alema, Veltroni, Fassino, Bassolino, Violante e tutti gli altri che ben conosciamo. Politici esperti, abili navigatori del palazzo e della piazza, ma pur sempre espressione di una cultura politica sbagliata alla radice e detestata dalla maggioranza degli elettori italiani. Possono vincere molte gare nelle città o nelle regioni, ma ci riescono quando alla guida nazionale ci sono figure d'altro tipo. Quando tutto si tinge di rosso (come per l'attuale vertice del Pd voluto da Veltroni) ecco che gli italiani mandano il segnale di black out, staccando la corrente. L'unico che ha capito fino in fondo questo concetto (non a caso) si chiama Silvio Berlusconi, che da sempre insiste su questo tasto ben sapendo di interpretare i sentimenti che stanno nella pancia degli italiani. L'intuizione del Partito Democratico è giusta e lo abbiamo sempre detto. Essa è infatti funzionale a quella semplificazione del nostro sistema politico che si sta (giustamente) facendo strada. Ciò che non va è la netta prevalenza (almeno sino ad oggi) di dirigenti che provengono dal Pci, per il semplice fatto che essi hanno già dato tutto quello che avevano da dare. Questo è il vero tema del presente e del futuro per la sinistra italiana. Non avendo mai avuto il coraggio di anticipare la storia, essa ha continuato a sopravvivere pur in un mondo cambiato, appoggiandosi su un consolidato sistema di potere ma senza mai riuscire a conquistare il cuore degli italiani, che hanno tanti difetti ma non sono proprio fessi del tutto. Ora il re è nudo. Le dimissioni di Veltroni impongono un profondo bagno di umiltà ed un vasto ricambio di personale politico. Servono facce nuove e idee nuove. Serve accompagnare (gentilmente) alla porta un gruppo dirigente esausto e vecchio, più nella testa che sulla carta d'identità. Adesso ci vuole un nuovo schema di lavoro, capace di unire e non dividere, pronto ad aprirsi ai moderati (anche cattolici) senza la pretesa egemonica che tutti gli allievi delle Frattocchie hanno impressa nel codice genetico. Tutto questo però non può essere giocato nel classico schema laburista o socialdemocratico per la semplice ragione che se il comunismo è morto (ed è morto) neanche il socialismo sta tanto bene. Occorre inventare un nuovo modo di stare insieme a sinistra, un modo che (in verità) deve copiare molto dalla destra. Serve capire che «local» è molto meglio di «global». Bisogna convincersi che gli immigrati vanno bene, ma nel rispetto delle leggi e comunque con moderazione. Ci vuole un atteggiamento sociale improntato al merito ed all'impegno, assai più che sui diritti e le rivendicazioni. Il risultato della Sardegna è impressionante da questo punto di vista, perché mostra con durezza la distanza lunare che separa i dirigenti dagli elettori, con i primi vittime delle trappole che si tendono da soli (come ha fatto Soru, anticipando le elezioni). Può essere Pierluigi Bersani, il competente, pragmatico, ragionevole Bersani, la soluzione al problema. Vedremo. Certo, quella spilletta con «falce e martello» che porta sulla giacca non depone a suo favore.  

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