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La fine di Soru, l'uomo che voleva battere Silvio

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Ma, anche se ad un certo punto le sue preferenze hanno toccato il 60%, lo scarto con Ugo Cappellacci è rimasto esiguo. Mai dilagante. L'atmosfera, è stato chiaro fin da subito, non era la stessa del 2004 quando il patron di Tiscali volava nella serata sarda che l'avrebbe portato alla guida della Regione con il 50.2% dei consensi. Anzi, con lo scorrere delle ore Cappellacci recuperava. Recuperava. E recuperava ancora. Fino a raggiungerlo. E quando al Pdl si preparavano a mettere in frigo le bottiglie di champagne e a considerare la vittoria già «molto probabile», nella sede del Pd arrivava Achille Passoni. Veltroniano, l'ex capo dell'organizzazione Cgil era stato spedito a Cagliari a sedare la rivolta interna al partito contro il governatore. Passoni era già riuscito in un'impresa impossibile, tramutare in successo la manifestazione del 25 ottobre. A Cagliari aveva portato a casa una bella pax elettorale e aveva fatto recuperare un po' di entusiasmo. Ma all'imbrunire l'atmosfera era un'altra. E così, Passoni, arrivando alla sede del partito veltroniano, metteva già le mani avanti. «È ancora troppo presto per fare una valutazione - aveva detto - anche perché i dati stanno arrivando a rilento. Dalle prime indicazioni mi pare che ci si stia incanalando verso una situazione in cui vi è Sassari e Nuoro da una parte e il Cagliaritano dall'altra». Il commissario del Pd era ancora fiducioso: «Ci potranno essere e ci saranno delle sorprese». Sul voto disgiunto, sottolineava Passoni, «bisognerà vedere seggio per seggio. Non credo comunque - aveva chiarito - che influirà nel centrosinistra e se sì, sarà solo marginalmente». Piuttosto preoccupato appariva invece sul calo dell'affluenza alle urne (-3,6%): «Un dato - aveva osservato - su cui tutte le forze politiche dovranno riflettere». Ma la vera spia si era accesa per la sinistra nel Sulcis, zona di minatori, dove più che un calo si registrava un crollo di partecipazione al voto. La fiducia per un buon risultato andava via via scemando. Tanto che in serata, Marco Meloni, consigliere regionale del Pd uscente e uno degli uomini più promettenti nel partito veltroniano, era costretto ad ammettere: «La vittoria di Soru è difficile. Molto difficile. Bisogna vedere quanto abbiamo vinto a Sassari e Nuoro ma abbiamo perso un po' ovunque. In Ogliastra, a Cagliari e in provincia. Sono numeri che fanno riflettere». Soru, l'uomo che voleva scalare il Pd, restava sempre in silenzio. Le voci che lo davano in arrivo alla sede del suo comitato elettorale sono state smentite di ora in ora. I fedelissimi rinviavano sempre il momento di una dichiarazione ufficiale proprio mentre Cappellacci, invece, faceva sapere che ormai per proclamarsi vincitore attendeva solo altro tempo per scaramanzia. Di sicuro è iniziata la parabola discendente di Soru, colui che voleva essere l'unico, dopo Prodi, ad aver battuto Berlusconi. E con lui dell'intero gruppo dirigente nazionale del Pd. Anche stavolta, nel centrosinistra, chi ha dimostrato di avere più fiuto politico di tutti è colui il quale s'è dichiarato essere la tessera numero uno del Pd quando ancora il partito si doveva costituire: Carlo De Benedetti. L'Ingegnere, socio di Soru, a tre settimane del voto aveva visto scendere la sua partecipazione in Tiscali dal 6 al 2%. Un segnale finanziario ma anche inevitabilmente politico. Soru non era più un cavallo vincente. Sabato e domenica s'è avuta la conferma.

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