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Ma i Democratici restano divisi

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Il punto, semmai, è capire in che modo. Ci sono quelli, in verità pochi, che restano convinti che un'eventuale sconfitta di Renato Soru sarebbe tutto sommato una buona notizia per il segretario del Pd. Si tratta dei teorici che, in questi mesi, hanno spinto per una candidatura del governatore alla leadership del Pd. E un leader che si presenta con una sconfitta nella terra che, per giunta ha amministrato, non è certo destinato ad un radioso futuro. Al contrario non sarebbe certo una debacle elettorale, l'ennesima, a gettare cattiva luce sul povero Walter. I suoi oppositori, prima di dargli il ben servito, sembrano intenzionati ad aspettare le europee. Quindi, fino ad allora, una sconfitta in più o in meno, poco cambia. A confermare questa lettura ci sarebbe il comportamento tenuto dal segretario rispetto alle elezioni. Presente sì, ma con misurazione. Veltroni è andato in Sardegna, ma ha preferito lasciare che fosse Renato Soru a metterci la faccia. Non l'ha vissuta come una partita nazionale e questo gli ha dato l'occasione di attaccare Silvio Berlusconi che, a suo avviso, invece di occuparsi della crisi, si è occupato della campagna elettorale di Ugo Cappellacci. Guardando il film di queste settimane verrebbe da dire che ben più di Veltroni ha investito sulla Sardegna Pierluigi Bersani che, proprio dall'isola, ha annunciato per la prima volta la sua intenzione di correre per la poltrona di segretario. Insomma, secondo questa versione, il leader del Pd guarderebbe con un certo distacco le elezioni regionali e sarebbe già pronto a dire che in fondo si tratta di un test locale e, come tale, va considerato. Ma è a questo punto che sorgono le obiezioni. Anzitutto non è affatto detto che, con una sconfitta sulle spalle, Soru sarebbe disponibile a rinunciare a traguardi ben più ambiziosi. Al contrario, liberatosi delle incombenze amministrative, il palcoscenico della politica nazionale diventerebbe l'unica interessante alternativa. Ecco allora che Veltroni farebbe bene a sperare in una riconferma. In fondo si tratta di uno schema già sperimentato da Massimo D'Alema in passato. Quando Sergio Cofferati insidiava il trono del lìder Maximo qualcuno pensò bene di dirottarlo su Bologna. Da lì il «cinese» non ha più fatto ritorno. A sostegno di questa tesi c'è chi fa notare che il segretario ha lasciato sì le luci della ribalta a Soru, ma da Roma ha lavorato, anche attraverso il commissariamento del partito locale, per eliminare qualsiasi voce contraria alla linea del governatore. La seconda obiezione riguarda il peso che una sconfitta avrebbe sulla già traballante leadership di Veltroni. Dopo un periodo, breve, di relativa tranquillità il partito è tornato ad essere una polveriera. Tutti contro tutti. Ieri, ad esempio, il senatore Ignazio Marino (che proprio questa settimana è stato sostituito come capogruppo in commissione Sanità dalla teodem Dorina Bianchi ndr) ha lanciato la proposta di sottoporre a referendum la legge sul testamento biologico se dovesse essere approvato dalle Camere il «pessimo» testo presentato dalla maggioranza. Una proposta che ha spaccato in due i Democratici con la maggior parte degli ex Dl che si sono schierati contro Marino. Eppure solo pochi giorni fa, con l'avvicendamento in commissione Sanità, Veltroni aveva assicurato che la linea del Pd non avrebbe subito cambiamenti. Sempre ieri battibecco tra D'Alema e Enrico Letta sui rapporti tra Confindustria e governo. Qualcuno sostiene che si sia trattato di un modo per rassicurare gli imprenditori che l'area che si sta coalizzando attorno alla candidatura di Pierluigi Bersani (di cui i due fanno indubbiamente parte) sostiene sì le ragioni della Cgil, ma non è indifferente alle istanze di viale dell'Astronomia. Fatto sta che è bastata una mezza frase di Baffino («C'è una singolare acquiescenza di Confindustria rispetto al governo»), per scatenare la reazione del ministro ombra del Welfare. «Confindustria ha espresso la sua grande preoccupazione - ha replicato Letta - per lo stato della crisi». Come a dire altro che acquiescenza, anche loro, come noi, non sono affatto soddisfatti da ciò che sta facendo l'esecutivo. Come se non bastasse ad allungare la lista di diatribe locali è arrivato il Lazio dove, dopo il rimpasto della giunta regionale messo in atto da Piero Marrazzo, i dalemiani e Enrico Letta (guarda caso) sono partiti all'attacco del segretario regionale Roberto Morassut accusato di gestire in maniere monocratica il Pd. Ma, al di là delle solite schermaglie, è la discesa in campo di Bersani a insidiare maggiormente il povero Walter. Ieri D'Alema che è ormai diventato il principale sponsor del ministro ombra dell'Economia ha espresso pubblicamente il suo «endorsement»: «Con lui molte persone si sentono più vicine al partito». Insomma non solo il congresso del Pd è già cominciato, ma sembra ormai essere in una fase avanzata. Una fase in cui anche una vittoria elettorale, o una sconfitta, può accelerare processi e rimescolare le carte in tavola. Per questo, al di là della Sardegna, Veltroni guarda con preoccupazione a Firenze dove domani verrà scelto, attraverso le primarie, il candidato sindaco del Pd. Il «suo» Lapo Pistelli dovrà vedersela con Michele Ventura (sostenuto da Bersani) e non sarà una partita facile. Una vittoria sarebbe un segnale importante in vista del congresso. E se fosse accompagnata da un risultato positivo in Sardegna lo sarebbe ancora di più.  

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