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dall'inviato TRIESTE Per lui il ...

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E al Sacrario di Redipuglia, il pugile campione del mondo e olimpionico racconta: «La mia famiglia era di Isola, oggi in Slovenia. Nel '47 mio fratello non aveva ancora 17 anni, era poliomelitico a una gamba. Vennero a prenderlo a casa, per due mesi non abbiamo saputo nulla di lui. Eravamo sicuri che era stato infoibato. Sono stati giorni di angoscia». Si commuove ancora Benvenuti, il suo sguardo ancora giovanile e sempre sorridente assume una strana smorfia. E ricomincia: «Poi scoprimmo che era ancora vivo. Furono settimane terribili. Lo accusavano di essere un sovversivo. Lo prelevavano nella notte nella cella e lo picchiavano. Lo picchiavano ancora. Lo liberarono dopo sette mesi». La tragedia era solo all'inizio. Narra ancora il mitico pugile: «Un giorno vennero a casa, era una bella villetta in città. Ci dissero che avevamo 48 ore per lasciarla, serviva al loro comando militare. Facemmo i bagagli e andammo via». Ricorda il Nino nazionale quei giorni: «Non si poteva più vivere. Ti venivano a prendere a casa. Per strada potevi essere picchiato in qualunque momento. O potevi essere arrestato. Noi fummo fortunati perché appena varcata la frontiera mio padre trovò subito un lavoro come commerciante di pesce. E per noi iniziò una nuova vita. Cominciai a tirare i primi pugni, una passione irrefrenabile. Ma solo in palestra». E la fortuna fu anche per l'Italia che si trovò in casa un grande campione. Oggi Benvenuti, con la sua chioma brizzolata e i denti splendenti, sorride. Mai tornato a Isola? «Come no. Quando posso torno a vedere la mia vecchia casa che abbandonai nel 1951. Ho anche parlato con quelli che ci abitano dentro, ho raccontato loro la mia storia, che un tempo quella era il mio tetto. Mi hanno riconosciuto e si sono voluti fare le foto con me. Quella villetta? No, non ci penso a riaverla. Per me è più importante è che non si perda la memoria di quello che è successo». F. d. O.

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