Berlusconi: Rispetto la Costituzione
Il governo decide di procedere se e quando con i decreti. Il Parlamento vaglia. Punto. E il presidente della Repubblica? Niente, controfirma. Il capo del governo la pensa così. Senza tanti fronzoli. Non è una questione con Napolitano, non è una questione personale. Anzi, tutt'altro. Con lui ci sono rapporti cordiali e Berlusconi si augura sinceramente di non vederli modificati. Il punto è il presidente della Repubblica, il suo ruolo, i suoi compiti. Insomma, per dirla tutta la questione è: chi comanda? Il ragionamento, fin qui riassunto grossolanamente, tiene banco per tutto il giorno. Berlusconi ne parla con i fedelissimi a pranzo. Ne discute. Ascolta in silenzio. Ma nella sua mente i passaggi essenziali sono questi. E se non lo saranno anche per le altre istituzioni, allora si metta mano alla Costituzione e si mettano a posto tutti i nodi in sospeso. È ormai sera quando Berlusconi sta per lasciare Cagliari. Sotto un diluvio improvviso chiede di parlare con i giornalisti. E chiarisce con tono pacato che cela una certa perentorietà: «La decretazione d'urgenza è fondamentale sennò uno va a casa». Quindi sottolinea stando bene attento alle parole che pronuncia: «Penso che si debba andare ad un chiarimento nella lettura della Carta Costituzionale». Il premier resta convinto che «la responsabilità di un giudizio sulla necessità e l'urgenza di un provvedimento spetti al governo e che il giudizio di questo fatto sia da attribuire al Parlamento che esamina l'esistenza dei requisiti nella prima commissione (quella degli Affari costituzionali, n.d.r.) come primo atto». Il rapporto dunque è governo-Parlamento. Nel suo ragionamento non compare per nulla il Quirinale. Ma è chiaro che non tutti la pensino come lui. Per questo è necessario chiarire. E come chiarire? A chi spetta questo chiarimento? Alla Corte Costituzionale? domandano i giornalisti. Berlusconi non risponde. Prende le labbra e se le sigilla tra due dita della mano sinistra. Poi le libera e riprende a parlare: «Andremo a fare delle riforme - aggiunge - e può darsi che andremo anche a chiarire il dettato della Carta costituzionale». Di sicuro però il Cavaliere intende andare avanti con i decreti. E fa l'esempio dei disegni di legge che si perdono «nei meandri del Parlamento». Cita proprio un esempio: «In estate avevamo deciso di intervenire su un problema urgente come quello della prostituzione per strada. Ebbene, ho chiesto al ministro per le Pari Opportunità a che punto fosse il disegno di legge a che punto fosse e non lo sapeva. E non lo poteva sapere la Carfagna perché in queste condizioni è ovvio che di un testo se ne possano perdere le tracce». Per questo si pensa a intervenire anche sui regolamenti parlamentari che il premier definisce senza mezzi termini «antiquati». Ma come e quando si interverrà? «Adesso ci riflettiamo - replica il capo del governo - e vedremo se dovremo arrivare a quelle riforme della Carta costituzionale che sono necessarie». Il punto di partenza è chiaro: riformare. Perché «è una legge fatta molti anni fa sotto l'influsso di una fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come un modello». Si rispolvera il presidenzialismo? Per carità, fa capire Berlusconi, «non c'entra niente casomai è l'inverso. Non la voglio io, è dall'altra parte che si vogliono attribuire dei poteri che secondo l'interpretazione mia e del governo non sono del Capo dello Stato, ma spettano al governo». Altra domanda al Cavaliere: ha sentito il Quirinale? No, nessun colloquio: «Tutto quello che ho fatto - sottolinea - è di una trasparenza assoluta, io sono a posto con la coscienza». Ribadisce che i rapporti personali restano invariati, quello che è successo «è una cosa molto tranquilla, molto chiara, non c'è nessun disegno sotto, nessuna volontà di profittare delle situazioni». Si tratta semplicemente - spiega il Cavaliere - della differenza tra «la cultura della vita e quella dell'intervento dello Stato, sempre e comunque anche negli ambiti privati dei cittadini». Di sicuro però Berlusconi non ha ancora digerito quella lettera del presidente della Repubblica con la quale si preannunciava la contrarietà al decreto legge sulla fine vita. «È stato consigliato male» puntualizza. E aggiunge: «Con i non poteri che ha il presidente del Consiglio, l'ipotesi di una prassi che fa intervenire il presidente della Repubblica addirittura prima che si prendano le decisioni è veramente una cosa che fa ridere». E se il Quirinale ha fatto sapere che il pensiero del Capo dello Stato era stato richiesto proprio da Palazzo Chigi, Berlusconi corregge: «Chiedere un parere succede sempre e viene fatto per cortesia istituzionale, però noi di certo non avevamo chiesto una lettera, sono loro che hanno comunicato della lettera al dottor Letta». Chiaro, no?