Belrusconi: "Ho ragionato da padre"

Se per settimane aveva detto di non avere intenzione di occuparsi del caso della ragazza che vive in coma da diciassette anni, nel bel mezzo della settimana che volge al termine ha fatto capire che invece aveva maturato un altro convincimento: un provvedimento, un atto, poi un decreto a costo di andare allo scontro istituzionale più forte che si sia mai visto negli ultimi anni. Presidente del Consiglio contro Presidente della Repubblica e viceversa. Tutto per quel disperato tentativo di salvare la vita alla ragazza. Il premier arriva all'hotel di Cagliari che lo ospita, un albergo moderno con le pareti bianche e la hall luminosa, la porta girevole, il grande bar in fondo e un pianista che stancamente allieta i clienti. Sembra tutto molto freddo, distaccato. Berlusconi - stavolta in versione istituzionale con doppiopetto, camicia azzurra e cravatta - fila dritto verso il ristorante, poi cambia idea e decide di andare dai giornalisti che lo stanno aspettando ansimanti, come cavalli affamati che attendono la biada, dietro un recinto. E si lascia andare. Caldamente. «Ho pensato "e se fosse mia figlia, come mi comporterei?"». Poi, piano piano, elenca uno dopo l'altro gli argomenti che lo hanno convinto: «Io mi metto nei panni di un padre. Se uno dei miei figli fosse vivo e anche con un bell'aspetto, mi dicono, con delle funzioni come il ciclo mestruale attivo, con la capacità di potersi svegliare e passare dal sonno ad un'altra fase, con un cervello che trasmette ancora segnali elettrici, io non me la sentirei proprio di staccare la spina....». Scuote la testa, la voce si fa leggermente roca, il mento ritornato verso il basso. Non c'è il clima di sempre, anche l'entourage è più dimesso, quasi grave, la scorta più blanda. Guarda avanti il Cav, a quello che potrebbe succedere e sottolinea: «La scienza in futuro potrebbe dare anche dei nuovi input al cervello». Non si può escludere insomma che si potrebbero trovare degli strumenti in modo da «dare nuovi stimoli per il risveglio». Non si trattiene il presidente del Consiglio. Spiega che all'inizio aveva un'altra idea del caso: «Pensavo che il padre dovesse accudirla tutti i giorni, che fosse a casa sua. Quando poi ho capito che era libero da questo aggravio allora ho pensato che la situazione fosse diversa». E proprio a Beppino Englaro più avanti manda un siluro: «A me sembra che non ci sia altro che la volontà di togliersi da mezzo una scomodità. Tutto qui. Credo che la vita però sia più importante....». Così ha creduto fosse il caso di intervenire. Ripercorre le tappe del Consiglio dei ministri di venerdì e punta a smorzare i toni. Usa parole soft, non quelle della conferenza stampa subito dopo la riunione di governo dell'altro giorno. Tiene una mano, la destra, in tasca, con l'altra gesticola. Gli occhi guardano un po' nel vuoto un po' cercano quelli dell'interlocutore. Sembra più dimesso, meno aitante. Non ci sono paroloni. Frasi sintetiche, niente concetti filosofici e, soprattutto, il presidente del Consiglio non è per nulla religioso. Molto laico. Lo dirà pure. Insiste su un punto: «La nostra è la cultura della vita e della libertà, dall'altra parte c'è la cultura della morte e dello statalismo». Un concetto che aveva già spiegato in mattinata arrivando in prefettura a Cagliari per incontrare i sindacati del Sulcis. E un concetto che ribadirà nel pomeriggio e ancora a sera prima di andare via, di lasciare il capoluogo sardo. Un concetto che permea l'intera azione del premier: «Non capisco come non si possa sospendere la procedura per Eluana. Francamente mi lascia stupito che dei professionisti, dei medici che sono votati a salvare la vita umana, possano invece impegnarsi in una azione che porta sicuramente alla morte, anche attraverso delle crudeltà come quella di privare ad un organismo umano l'alimentazione e la nutrizione». Eluana, Eluana, Eluana. Il Cavaliere pronuncia poche volte quel nome, ma più tardi chiede di rivedere i giornalisti proprio davanti all'hotel. Prima vede le giornaliste per un caffè privato, poi i colleghi uomini. Il mento si fa fiero, si alza e si protrae in avanti: «Ho pensato alle mie figlie, alle mie bambine. Come mi comporterei se le vedessi da sole nel letto, in quelle condizioni? No, non potrei staccare la spina». Indubbiamente il suo ingresso in campo in maniera così intraprendente, straripante ha finito per ricacciare tra i cultori della morte tutti coloro che si sono opposti al decreto. E tutti coloro che si oppongono oggi alla supercorsia preferenziale per il disegno di legge. Tanto che non a caso il Pd lo accusa esplicitamente di perseguire un disegno politico. Quando sente quelle parole, Berlusconi s'inalbera: «Sciocchezze, ma che stupidaggini». Ma quale disegno politico, continua a dire. E ci tiene a sottolineare che il suo è un intervento di cuore. «Di coscienza», è un'altra definizione che ribadirà nel corso della giornata. È l'intervento di un papà che ha preferito non restare fermo. Che non ha resistito a un richiamo ancestrale. E ha pensato di fare quello che Berlusconi si sforza di far capire: la cosa più normale del mondo, cioé intervenire presto. Per questo ricostruisce le tappe delle tumultuose ultime ore: «Il governo era nel pieno della sua funzione, stava prendendo le decisioni nel Consiglio dei ministri. Poi è arrivata la lettera e ci abbiamo ragionato e abbiamo deciso di continuare in quella direzione». «Smettiamola di dire certe cose. Quando ho parlato di eutanasia non ho mai fatto riferimento alla lettera di Napolitano». E ora? Che fare? Si può ancora intervenire? Berlusconi spiega insistentemente di aver parlato con Schifani e che il presidente del Senato gli ha assicurato tempi rapidi, i più rapidi possibile. Ma il Parlamento che non riesce nemmeno a riunirsi nel week end se in gioco c'è una vita? Il premier fa spallucce. Vorrebbe dire, fa quel volto infastidito di chi vorrebbe esternare ciò che pensa, ma sa anche che non è il caso di aprire un altro fronte. Insiste nel dire che era necessaria l'unanimità della conferenza dei capigruppo per procedere a una riunione urgente del Senato. E che ciò non è stato possibile. Inutile provocarlo ancora su questo terreno perché il Cavaliere ripete la stessa storiella senza inflessioni come se l'avesse imparata ormai a memoria. E allora? Che altro si può fare? Il ministero della Salute emanerà un'ordinanza che blocca tutto? Berlusconi è scettico: «Non credo». Difende il suo ministro ma aggrotta le sopracciglia: «Sacconi sta facendo tutto il possibile per evitare che Eluana muoia e ieri al telefono ha parlato lungamente...» Si ferma un attimo, guarda in basso, cerca le parole giuste: «Ha parlato lungamente con....». Infine sentenzia sofferto: «Ha parlato lungamente con dei giudici». Il capo del governo non lo dirà mai. Ma si capisce che tra le sue parole c'è un misto di rassegnazione e mestizia. C'ha provato, s'è battuto. Ha capito che le armi che restano a disposizione sono davvero poche. Non vuole assumere i toni della crociata. Non vuol dire che il suo pensiero si rivolga altrove. No, questo no. Anzi per tutta la giornata, chi gli sarà accanto non farà altro che ricordare che il suo pensiero non si è mai staccato dalla vicenda. Nemmeno quando si allontana per una telefonata con Putin (cercherà di convincerlo a intercedere su un'azienda russa che ha investito in Sardegna e da qui intende andar via). Ormai è sera, a Cagliari comincia a diluviare, il Cavaliere chiede alla scorta di dargli il mantello perché l'influenza che l'ha colpito la scorsa settimana è ancora dietro l'angolo. È un Berlusconi insolito quello di questo sabato sardo tra impegni istituzionali, la campagna elettorale e la partita serale del Milan. Un Berlusconi che non fa una battuta, non racconta una barzelletta. Non sorride mai. Tirato quello sì. Tirato in volto. Che si scioglie di fronte ai sentimenti e li espone. Ma si ritrae quando si torna a parlare di questioni istituzionali. Che parla di Eluana citando poco il suo nome, usa un più impersonale «ragazza». Non pronuncia mai altri vezzeggiativi che pure gli sono cari tipo «fanciulla» o similari. No, linguaggio asciutto. Contrito. Gli chiedono se vuole mandare un messaggio al papà di Eluana e lui si ritrae: «No, no». È un Berlusconi che ricorda il consiglio dei ministri del giorno prima, irrigidisce le spalle e dice: «Abbiamo deciso nel pieno della nostra funzione. Tutto qui, non c'è niente altro».