Il Vesuvio erutta un leader dopo l'altro
Quanto sta accadendo a Napoli nelle ultime settimane è emblematico. Fa sorridere l'autogol di Di Pietro: fino a ieri sbeffeggiava Veltroni per la crisi del Pd, dilaniato dalla questione morale. Oggi deve abbandonare con l'amaro in bocca la tenuta da moralizzatore: i consiglieri Idv al Comune hanno rifiutato l'ultimatum - presentare una mozione di sfiducia a Iervolino e Bassolino o si è fuori dal partito - usando la stessa arma che l'ex pm di Mani Pulite aveva affilato contro Veltroni. «Abbiamo posto la questione morale all'interno del partito, e invece ci viene chiesto senza ulteriori spiegazioni di sfiduciare le giunte. Piuttosto ci dimettiamo» rispondono da Napoli. A poco serve che il coordinatore cittadino Vincenzo Ruggiero tenti di richiamare tutti all'ordine. La bufera si gonfia alla Camera, dove il vicecapogruppo Idv Fabio Evangelisti conferma la stima alla Iervolino: «La mozione di Laboccetta è strumentale e forzata. La crisi di Napoli è profonda, ma la soluzione è di sistema, non si accusa una sola parte politica perché è indecoroso che si scarichino così le responsabilità. Serve una presa di coscienza da parte di tutti e abbandonare la mera strumentalizzazione politica, quindi già da ora dico che noi discuteremo un'altra mozione, sulla questione morale e l'etica dei comportamenti». Poco dopo lo stesso Evangelisti commenta le tensioni nel partito: «Tra di noi, ad esempio in Campania, ci sono riottosi. Abbiamo avuto qualche problema come quello di Cristiano Di Pietro, che abbiamo risolto. Adesso qualcuno non vuole capire che con le giunte del Pd di Firenze e di Napoli dobbiamo chiudere subito. Ma sono crisi di crescita». Difficile capire però come può crescere una forza politica che non sa mettersi d'accordo e in cui il leader rimane inascoltato. Non va certo meglio nel Pd: se Veltroni credeva di risollevare le sorti della «grande coalizione» inviando a Napoli il commissario Enrico Morando, si è sbagliato di grosso. L'animosità dei democratici partenopei, costantemente impegnati in un tutti contro tutti, ha portato all'esasperazione persino il tranquillo piemontese, che dopo 20 giorni di intenso lavoro sul territorio è sbottato: «Non può dipendere tutto da me». Il deus ex machina romano sembra non farcela a contrastare le divisioni piccole e grandi, e mentre esponenti locali, come l'assessore regionale Andrea Cozzolino, uno dei fedelissimi di Bassolino, continuano a contestare l'accordo sullo sbarramento al 4% alle Europee, il Pd non ha ancora un candidato da presentare alle elezioni provinciali. Non mancano altri esempi eclatanti del disorientamento dell'intero centrosinistra che non ascolta più Roma: anche nei partiti minori le cose non vanno diversamente. Basti pensare a quanto accaduto in Rifondazione Comunista: la settimana scorsa è stato a Napoli il segretario Paolo Ferrero che, dopo aver invocato e non ottenuto l'azzeramento della squadra guidata dalla Iervolino, ha ritirato i suoi consiglieri dalla maggioranza. Ma in molti tra le fila del partito, compreso l'assessore comunale Giulio Riccio, non l'hanno seguito, e hanno approfittato della scissione aderendo al neonato movimento vendoliano. Risultato? Rifondazione non sa più nemmeno quanti siano gli iscritti rimasti fedeli. E Ferrero, come Veltroni, come Di Pietro, si ritrova ad essere leader senza partito.