Il Cavaliere che salvò Walter, ma solo per indebolire il Pd
Mai. La sua faccia diventa brutta. Come quella che ha mostrato domenica scorsa, nella sua ultima apparizione pubblica, ai giornalisti che gli avevano pronunciato proprio quel termine: aveva mimato il mal di fegato. Poi, due giorni dopo, alla Camera è spuntato il mini-accordo sulla legge elettorale che fissa lo sbarramento al 4%. E che di fatto salverà Walter Veltroni. Il Pd negli ultimi sondaggi veniva dato ormai al 23%, assediato soprattutto dalla ripresa dell'estrema sinistra. Che invece adesso, dopo che i suoi vari capetti se le sono dette di santa ragione, sarà costretta a mettersi assieme in un'unica listona accozzaglia come quella Arcobaleno già bocciata dalle urne. Dunque, Berlusconi non ama che si parli di «dialogo» perché ritiene che in questo modo di mette sullo stesso piano lui e il Pd mentre ci tiene a far sapere che l'accordo è una sua libera concessione. Spiega Giorgio Stracquadanio, spin doctor del Cavaliere, che in effetti sono due le ragioni che hanno spinto il premier a riesumare Veltroni proprio nel momento in cui s'aggirava per il Transatlantico come un fanstasma con i peones che si giravano dall'altra parte facendo finta di essere impegnati: «Il primo motivo è che la trattativa di D'Alema con l'Udc si stava stringendo. Così va tutto a monte perché Veltroni riprende il timone delle trattative. Il secondo motivo è interno. È chiaro che il premier è rimasto molto impressionato dal fatto che Bossi si stava creando una sua maggioranza alternativa sul federalismo. Quel giorno del voto era al Senato e la cosa l'ha molto preoccupato». Mano tesa a Veltroni, insomma. D'altro canto che cosa gli può convenire di più che avere al capo dell'opposizione un'anatra zoppa? Un leader che magari riuscirà ad evitare un altro pessimo risultato alle Europee, eviterà la defenestrazione, ma resterà al comando con una sedia che scricchiola? Avanti così. La mini intesa sulla legge elettorale tiene. Ha tenuto in settimana in commissione e nel comitato ristretto. Martedì sarà alla prova del fuoco: si comincia a votare. E si capirà se Veltroni, chiamato alla sua chance migliore, è in grado o meno di governare il suo partito. Se ce la fa a resistere alle minacce della sinistra estrema che si dice pronta, Verdi in testa, a uscire dalle giunte comunali nelle quali governa ancora con il Pd. In ballo ci sono città non di poco conto, Bologna e Firenze in primis, dove si vota a breve. Si vedrà. Si vedrà anche se riesce a resistere alle contestazioni. La prima è avvenuta ieri a Torino: «Sei come Berlusconi», gli hanno urlato. Si vedrà. Si studiano nuovo banchi di prova. A cominciare dalla Rai. Ieri i presidenti di Camera e Senato hanno scelto i membri della nuova Vigilanza e in settimana si comincerà a capire se si vuole andare avanti fino in fondo. Eleggendo il nuovo presidente della commissione e poi il nuovo consiglio di amministrazione, per il quale è necessario sicuramente un accordo tra maggioranza e opposizione. E poi ci sono le intercettazioni. La maggioranza ha trovato un accordo su un testo. La novità casomai è che dal Pd non si sono levate barricate. Lo stesso Veltroni s'è limitato a un «Quel testo non va proprio bene». Il fedelissimo Realacci se la prende solo per il limite ai reati di ecomafia. Resta fuori dal coro Donatella Ferranti: «Siamo fortemente contrari all'emendamento del governo». Che, fanno notare dalle parti del Pdl, è cosa diversa dal dire che sono «totalmente contrari». Il clima è cambiato. Claudio Scajola per esempio ha confermato a una direzione generale del suo ministero Andrea Bianchi, forse il migliore dei Bersani boys. Ma c'è un'altra novità nel cambio di passo impresso da Berlusconi. Ed è la ritrovata intesa con Gianfranco Fini. I due si sono visti a pranzo, e questo è noto. E hanno ripreso da quel giorno a sentirsi a telefono, direttamente, senza mediazioni. Fini aveva già più volte indicato come via quella del cessate le ostilità con il centrosinistra e in un certo senso era stato anche precursore con quell'insolita telefonata a Veltroni la sera della manifestazione del Circo Massimo: era il 25 ottobre. Dalle parti di An vedono questo accenno di dialogo con entusiasmo. «Adesso andiamo avanti su Rai e intercettazioni oltre che sulla legge elettorale - spiega un deputato finiano che chiede l'anonimato -. E fino alle Europee non succederà null'altro. Dopo si aprirà finalmente la legislatura costituente. Sarebbe dovuta già cominciare prima».