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Aveva di certo ragione Benjamin Disraeli quando disse che vi ...

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Una cosa però è certa: la crisi è già in mezzo a noi, è destinata a crescere e creerà enormi problemi a larghi settori della società. In tale situazione sembra proprio che la classe politica - già all'origine del disastro (basti pensare alla politica monetaria americana, e agli stessi interventi "sociali" in ambito abitativo) - sia determinata a intervenire in mille modi. E con ogni probabilità anche da noi avremo un piano a favore dell'intero comparto automobilistico. Qualcuno sembra resistere (da Calderoli a Sacconi) e qualcun altro sottolinea giustamente che le risorse proprio non ci sono (Tremonti), ma alla fine è facile prevedere che la Fiat riuscirà anche stavolta ad incassare, come sempre, una serie di provvedimenti più o meno volti a stimolare l'innovazione, favorire la transizione verso prodotti più ecologici, e via dicendo. Si tratta di un grave errore, e vale davvero poco la foglia di figlio dell'impegno ambientalista e la scusa che in tal modo si aiuterebbe la ricerca "made in Italy". È sbagliato dare denaro al settore automobilistico per la semplice ragione che si tratta di un comparto che deve ripensarsi "sul mercato", anche attraverso accordi internazionali e soprattutto operando una riduzione degli organici. Il crollo delle vendite è un segnale che non va ignorato: e questo vale per chi amministra i propri soldi (risparmiatori) come per chi gestisce i soldi altrui (politici). Chi vuole aiutare l'economia non deve frenare le ristrutturazioni, che invece sono necessarie, ma semmai deve favorirle. E soprattutto non deve alterare in maniera dirigista le logiche dell'economia di mercato, togliendo fondi alle imprese che vanno bene per darli a quelle che vanno male. Se proprio i politici non sanno starsene fermi, s'impegnino allora a favorire una più rapida trasformazione della struttura produttiva: e quindi riformino seriamente gli ammortizzatori sociali, in modo da dare qualche garanzia a chi fatalmente perderà il posto di lavoro e al tempo stesso permettere una maggiore flessibilità. È quella che nel paesi dell'Europa settentrionale chiamano "flexicurity" e che consiste nell'abbinare la massima facilità di licenziare per le imprese e l'introduzione di un assegno a favore di chi perde il posto. In tal modo, la forza lavoro - specie se la durata dell'assegno è temporalmente limitata - sarà indotta a trasferirsi dove ce n'è bisogno, lasciando i settori decotti. La logica degli aiuti è vecchia e fallimentare, mentre oggi abbiamo bisogno di costruire un futuro più solido, aiutando e accelerando trasformazioni del tutto inevitabili.

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