E Silvio ora diventa il Nonno degli italiani
È il Berlusconi della campagna elettorale sarda. Il Berlusconi sorridente, quello sempre sorridente, ma attento a non apparire più il padrone, colui che può tutto. Cambia pelle il Cavaliere. Che anzi sta attento a non apparire come il solito Cavaliere ma a mostrarsi più come il Nonno di tutti. Parla al pubblico di Sassari e racconta di quando torna a casa «che c'è sempre un gran casino, mi devo mettere a urlare per far capire che sono arrivato», e si sbraccia per mimare il suo ingresso nell'appartamento come un qualunque italiano che chiama casa e fa al telefono: «Ah ma', butta la pasta». Racconta che ha cinque nipoti, quattro nati e uno in arrivo, che ha perso la testa per Alessandro, un anno e due mesi, il figlio di Barbara. Al migliaio di persone che lo sta ad ascoltare in religioso silenzio nel teatro di Sassari, narra: «Lo chiamo il Dalai Lama per la saggezza che già dimostra nelle espressioni». Dice che l'altra settimana Barbara s'era allontanata e lui ha fatto al nipotino: «Dai, Ale, facciamo uno scherzo alla mamma. Adesso t'insegno come si fa per finta la tosse». E spiega che lui ha cominciato a tossire e il pupetto piano piano ha imparato. Poi ha chiamato Barbara e «l'ho sgridata — racconta — Ma come? Gli hai fatto prendere freddo, non vedi. E Alessandro ha cominciato a tossire e mi guardava con sguardo complice». Scena da normale vita vissuta. Da domenica normale, tutti in famiglia, cognate e nipoti, la consueta caciara, la guantiera di pasticcini. Lui rimarca, se ancora qualcuno in platea non avesse capito il senso: «Anche il presidente del Consiglio si scioglie davanti a un nipotino». E giù applausi, scroscianti. Chi non si può identificare in quel quadretto? Sicuramente qualunque nonno. Cambia scena e diventa il cristiano devoto. Va a trovare il vescovo nella chiesa di Santa Maria di Betlemme, sempre nella città di Pisanu e Cossiga. L'alto prelato vuole spiegare i particolare degli affreschi e Berlusconi lo ferma: «Guardi che conosco benissimo questa chiesa. Lei non lo sa, ma un giorno, mentre tornavo a casa, avevo bisogno di sentir Messa e mi sono fermato qui. Sono entrato e mi sono andato a sistemare nell'ultima fila». E cita un particolare di un affresco che lascia di sasso il vescovo. Ad Arzachena scende tra la folla della piazza. Gli chiedono di Kakà, il giocatore che è rimasto al Milan rifiutando un'offerta milionaria. E anche il Milan, la sua squadra, ha resistito a tanti soldi pur di rimanere. Kakà sarà il vero leit motiv di tutta la campagna elettorale. Gli chiederanno di lui anche a Tempio Pausania, a Olbia, ad Alghero. Continuamente. Stretta di mano e complimenti per quel gesto che sembra d'altri tempi: niente soldi pur di tenere il fuoriclasse, che tra l'altro è molto religioso. Ad Arzachena, dunque, non si trattiene il Cav. E si lascia scappare: «Avete visto che bell'acquisto? Già, perché averlo tenuto è stato come riacquistarlo». Poi si spoglia subito dei panni del padrone dei rossoneri non appena gli si para davanti un vecchietto che gli rivela il suo sogno: andare a Milanello, dove si allenano i suoi campioni. E Berlusconi glissa: «Bisogna chiedere a Gattuso, è lui che comanda lì». Ad Alghero torna il buon padre. Nel lussuoso albergo Carlos V Berlusconi si ricorda che ha una squadra di calcio e si fa sistemare un bel maxischermo. Racconta barzellette e vede la partita. Arriva anche qui il vescovo (li ha incontrati tutti) lo fa accomodare e spiega come per lui è «impossibile fare politica senza credere nella famiglia». Piove a Tempio Pausania. Diluvia. Fa freddo. Quella pioggia trasversale che ti entra dappertutto. E lui sul palco va avanti, parla mentre l'acqua gli arriva in faccia. Persino il medico personale indossa un bel berretto e si va a ficcare sotto un ombrello sotto un cornicione. Lui niente, sul palco continua a parlare. E per far vedere di essere solidale con la ormai sparuta folla che lo stava aspettando nella piazza, continua a comiziare. Il candidato presidente, Ugo Cappellacci, gli apre un ombrello. Che privilegio, non se lo può permettere. E così il Cav fa segno: «Chiudilo, mi sento ancora ragazzo». Vorrebbe andare a riposare a Villa Certosa. Ma lo supplicano di sostare a un agriturismo dove vanno a mangiare in tanti nel fine settimana. Che cosa c'è di meglio per il nuovo italiano medio? Quello che non parla più delle sue aziende, quello che se deve proprio citare una sua attività ricorda il giardinaggio nella verde Sardegna. E allora sì, vada per il porceddu nella macchia mediterranea magari a cantare «ma che ce frega ma che ce 'mporta».