«Politica lenta, farò solo decreti»

E lo ripete già in mattinata sfogliando i giornali sull'aereo che lo porterà da Roma a Olbia per cominciare — nel pieno della peggiore crisi finanziaria degli ultimi anni — uno sfiancante tour elettorale: dalla nuvolosa Olbia alla soleggiata Arzachena, comizio sotto il diluvio e il nevischio a Tempio Pausania, pranzo in un agriturismo e comizio finale in un palazzetto dello sport della città di partenza a sostegno del candidato presidente della Regione Ugo Cappellacci. Dunque, il presidente in gabbia. Al punto che all'ora di pranzo arriva a sfogarsi nel corso di un incontro con il vescovo di Tempio, Sebastiano Sanguinetti: «Il Paese va avanti, la politica non può restare ferma», spiega il premier. E aggiunge: «Il mio unico strumento vero resta la decretazione d'urgenza. Capisco i rilievi del Capo dello Stato. Capisco, capisco tutti. Ma i problemi non aspettano nessuno. Non aspettano i comodi della politica». Cita un dato: «Ogni mese abbiamo 1200 carcerati in più, le prigioni scoppiano. Non possiamo permettercelo». E allora? Allora Berlusconi non vuole stare con le mani in mano. Vuole il cambio di passo. E che questa sia la sensazione appiccicosa che avverta addosso lo si capisce anche quando sente nominare D'Alema. Racconta dal palco il serata: «Ieri sera (venerdì sera) vedevo una trasmissione televisiva con D'Alema (si riferisce a Malpensa, Italia). Era l'una di notte, quindi immagino che l'abbiamo vista solo io e D'Alema: io avevo dato un'intervista, lui era in studio. E quando io ho parlato delle differenze tra come abbiamo gestito noi l'ingresso di Air France in Alitalia e come le aveva gestite il governo Prodi, lui ha sostenuto che non c'è differenza alcuna: Air France era prima, Air France è ora». «Invece c'è una differenza eccome - insiste il premier - Air France prima sarebbe stata la padrona assoluta di Alitalia, ora invece è solo il socio di minoranza di una società che resta al 75% in mano italiana». In privato sull'aereo della mattina Berlusconi si era molto lamentato di questo episodio: «È incredibile. Me la devo cantare e suonare da solo. E devo anche portare la croce. Mi attaccano e nessuno mi difende. Neanche i miei». Un fedelissimo aveva commentato: vero, quelli di An stanno sempre zitti. E il premier l'aveva ripreso: «No, anche i nostri stanno spesso in silenzio». In studio, in quella trasmissione e in contraddittorio con D'Alema c'era il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Un presidente solo. Solitario. Con Fini che ogni giorno fa salire il prezzo di An nella trattativa verso il Pdl. Con provocazioni continue. Con frecciatine. Con piccoli annunci e indiscrezioni fatte filtrare. E poi c'è la Lega che vorrebbe una linea più dialogante con il Pd, per evitare lo scontro sul federalismo fiscale. Berlusconi si prepara così a mettere sul tavolo della trattativa le riforme istituzionali. Chiederà che il premier sia dotato di maggiori poteri, che sia in grado almeno di poter nominare e revocare i ministri. A dicembre disse chiaro e tondo che Gianni Chiodi, qualora avesse vinto le Regionali in Abruzzo, avrebbe avuto pieni poteri e piena libertà nella scelta degli assessori. E ieri lo ha ripetuto a proposito di Cappellacci in Sardegna. Via. Via i lacci dei partiti, anche se è il proprio. A cominciare dal territorio. Poi toccherà a Roma.