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Prove di dialogo: Pd e Idv si astengono

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È la giornata in assoluto più importante da quando il partito padano è in Parlamento. Venticinque anni di battaglie e alla fine Bossi ce l'ha fatta. Il suo federalismo fiscale, con 156 voti a favore, 6 contrari e 108 astenuti è stato approvato dall'Assemblea del Senato. Un risultato decisamente lodevole soprattutto se si considera che il testo è stato in grado di conquistare il voto di astensione del Partito democratico e dell'Idv. Un evento eccezionale che la capogruppo dei senatori democratici Anna Finocchiaro spiega come la dimostrazione di aver «smontato il clichè dell'opposizione riottosa che dice solo no» spingendosi addirittura a ringraziare il ministro Roberto Calderoli. «Anche se sembra strano — commenta sorridendo — che io dica così». E proprio il ministro per la Semplificazione normativa Calderoli ricorda che la strada è comunque ancora lunga: «Il federalismo fiscale è un tassello di una riforma complessiva che prevede la riforma costituzionale con i quattro passaggi alle Camere. Ma in un anno e mezzo avremo il federalismo fiscale, la riforma costituzionale e la Carta delle Autonomie». Voto contrario invece arriva dall'Udc (tre senatori in tutto). Gianpiero D'Alia definisce la legge «un federalismo fiscale falso e pericoloso. Falso perché non sappiamo nè le risorse a disposizione né le funzioni di regioni ed enti locali. Pericoloso perché la differenza tra costo standard e costo reale dei servizi è caricato sui cittadini che pagheranno più tasse». Tutte illazioni che non sono piaciute ai senatori del Carroccio tanto che qualcuno ha proposto di punire il partito centrista facendo abbandonare, ai suoi rappresentanti, le giunte nei comuni governati dal centro destra. Ma se la Lega esulta, non tutto il Pdl gioisce. E, in Aula, l'atteggiamento gelido del premier nei confronti di Bossi valeva più di mille dichiarazioni. Berlusconi, chino sui suoi fogli, ha concesso al Senatùr solo qualche parola. Era più interessante ascoltare il senatore del Pdl Carlo Vizzini il quale negava che il successo dell'approvazione della riforma possesse essere intestato alla sola Lega nord: «A chi giova tutto questo? Alla Lega? Noi riconosciamo alla Lega il ruolo svolto nell'aver posto questo tema importantissimo all'attenzione del Paese del Parlamento, ma rivendichiamo al Pdl di aver fatto un patto con la Lega e una campagna elettorale nella quale questo era il nostro impegno». Una boccata d'ossigeno per il premier che ha alzato il pollice della mano destra per esprimere il proprio apprezzamento all'amico Vizzini. Ora, chiuso l'iter al Senato, il provvedimento è atteso nell'altro braccio del Parlamento per la seconda lettura. I suoi punti cardine, in base ai quali il governo è delegato ad attuare la riforma dell'autonomia finanziaria di regioni, province e comuni, prevede in prima istanza l'istituzione del «costo standard», un sistema per garantire che i servizi fondamentali costino e siano erogati in maniera uniforme sul territorio nazionale. Poi ci sarà il «Tetto pressione fiscale» che mira ad attuare un calo complessivo della pressione fiscale che non dovrà superare il 42% e il 40% nei tre anni che seguono il primo periodo. Sempre dal punto di vista fiscale verrà attuato un serrato contrasto sull'evasione coinvolgendo i diversi livelli istituzionali. Sono previste poi sanzioni, fino al commissariamento, per quelle Regioni e Enti che non saranno virtuosi. Inoltre sono state stabilite nel ddl le funzioni essenziali per comuni e province, in attesa della carta delle autonomie che sarà portata al consiglio dei ministri la prossima settimana. Infine, nota dolente, rimane solo lo scoglio delle lungaggini burocratiche. I tempi di attuazione prevedono infatti che il primo decreto attuativo della delega deve essere emanato entro un anno e gli altri decreti legislativi entro due anni dall'entrata in vigore del testo. La riforma comunque sarà a regime al massimo entro nove anni dall'entrata in vigore.

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