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"Ridicoli quelli che oggi criticano il nuovo partito"

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Se la ride a leggersi le dichiarazioni di quelli di An che se la prendono con il modo con il quale sta nascendo il Pdl. Quando fu lui a fare le prime critiche, all'assemblea del partito di Fini, la prima senza Fini perché presidente della Camera, gli diedero del pazzo. Lui parlava dal palco e i colonnelli chiacchieravano al tavolo della presidenza, ridevano, chi giocava con il telefonino, chi scherzava con dei bigliettini, chi guardava fuori dalla finestra. A chi ricorda quel giorno di fine luglio, Menia si sganascia dalle risate. Scusi, Menia. Ma che cosa ride? Non fu umiliante vedere che mentre lei parlava i vertici del suo partito facevano finta di non ascoltarla? «Assolutamente no. Non ho mai avuto paura delle mie idee. E poi, se vogliamo raccontarla tutta bisogna dire che proprio quello che giocava con il telefonino si mise a dire in giro che "Fini era incazzato nero" per quel mio intervento». E non era così? L'avevate concordato quell'intervento? Oggi dicono così: era tutta una mossa di Fini. «E non è vero neanche questo. Non avevamo concordato nulla. Ma non ho mai avuto paura di dire anche cose contro Fini. O comunque dire cose che non lui gradiva». E non ha mai rotto con lui? «Penso di avere un buon rapporto con Gianfranco. Il giorno che smettessi di essere sincero con lui, non saremmo più amici». Vabbè, torniamo a quel giorno. Che effetto le fa oggi? «Guardi, ci sono cose quasi ridicole. La mattina vedo i giornali e leggo quello che dicevo allora in bocca ad altri. Magari a quelli che a luglio dicevano che ero pazzo». E secondo lei perché arriva questa conversione? «Perché anche loro, intendo dire i vertici di An, come me girano l'Italia. Parlano con i nostri militanti. E vedono che la nostra base è critica, è fredda verso un partito che nasce da una fusione a freddo. C'è la preoccupazione di fondo che è quella di sentirsi sfuggire il proprio mondo».   Anche Fini, allora, s'è svegliato tardi? «Fini ha lanciato l'allarme sul cesarismo».   Ma che cosa non le piace del Pdl? «Il punto non è l'approdo finale. È il modo con cui ci si sta arrivando. Lo dissi allora e lo ripeto oggi».   E cioé? «Non voglio un partito dove non si può discutere. Ma le sembra normale che un congresso così storico si svolga in mezza giornata?»   Non sarebbe la prima volta. «Eh no, così commettiamo gli stessi errori che hanno fatto dall'altra parte. Lo vede che fine sta facendo il Pd?».   Ma il Pdl ha fatto esprimere il popolo dei gazebo. «Ah sì? Quasi non me ne sono accorto».   Che cosa vuol dire? «Ho visto ai gazebo molta meno gente di quella che c'era contro Prodi. Almeno su questo si può discutere?».   Il congresso di fatto è iniziato con la denuncia sul cesarismo? «No, guardi, io vengo dall'esperienza del Msi. I congressi iniziavano il giovedì e finivano la domenica. Forse. E si parlava anche di notte. Io, se ho una proposta, dove vado a parlare? Nel comitato dei Cento? Quello che s'è riunito una volta e mai più?». Ma non è che il problema è il ruolo di Fini? «Lo dissi: c'è il rischio che Fini diventi un generale senza esercito. Il punto è discutere».   C'è un problema di comunicazione da parte di La Russa? «Se fossi Berlusconi avrei fatto anche io quella battuta. Sapendo bene che non è la verità»   E adesso, come se ne esce? Con la federazione? «Non mi impiccherei a una data. Se proprio 27 marzo deve essere si può anche quel giorno stabilire un percorso. Possiamo fissare delle tappe intermedie. Prendiamoci il tempo che serve. E ora mi daranno di nuovo del pazzo...».

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