La Vigilanza se ne va ma Villari non lascia
La svolta arriva nel pomeriggio quando Villari scrive una lettera ai componenti della bicamerale. Nella nota il presidente spiega che la commissione «ha dei notevoli e gravi ritardi nei suoi lavori». In particolare: sono scaduti dal 1 gennaio i termini per redigere e liberare il regolamento elettorale per le elezioni regionali in Sardegna; deve istituire da otto mesi la sottocommissione per l'accesso (dove giacciono oltre 200 domande inevase); occorre eleggere il Cda della Rai. Per questo Villari invita i colleghi «a partecipare ai lavori e ad adempiere ai nostri obblighi di legge. Esauriti questi - aggiunge -, sono disponibile a mettere all'ordine del giorno la discussione sulle mie dimissioni, da tenere quindi nell'unica sede istituzionale propria». Insomma il presidente è disponibile a fare un passo indietro, ma solo quando verranno risolti tutti i problemi in sospeso. Troppo poco. A stretto giro di posta arrivano le dimissioni di tutti i membri del Pdl e di quelli del Pd. Dimissioni irrevocabili. Anche se non tutti concordano con la scelta. Luciano Sardelli (Mpa) e Marco Beltrandi (radicale eletto nelle file del Pd) non mollano. E forse saranno ancora una volto loro due, assieme al presidente, a riunirsi oggi alle 14 nelle stanze di Palazzo San Macuto. Ma l'accelerazione di maggioranza e opposizione scatena l'immediata mossa del presidente del Senato Renato Schifani che giudica la situazione della commissione «di paralisi oggettiva e irreversibile». E annuncia che interverrà presto. «È compito dei presidenti di Camera e Senato - spiega - assicurare il funzionamento della commissione, con Fini di comune accordo troveremo una soluzione». Ma Villari non molla. «È una giornata nera per il Parlamento e le istituzioni» commenta amaro. «Gli italiani giudicheranno. Certo per le procedure democratiche del nostro Paese è un duro colpo, che purtroppo farà scuola. Valuterò - conclude - e ne trarrò le conseguenze». E in un'intervista al Corriere della Sera online è ancora più duro. «Sono stato legittimamente eletto con voto segreto - attacca -, dopo oltre sei mesi di votazioni andate a vuoto. Non ho trattato sotto banco né fatto accordi con la maggioranza; tantomeno tradito il Partito Democratico, del quale tuttora mi onoro di essere stato tra i fondatori. La testardaggine di Veltroni e la prepotenza di Di Pietro hanno consentito al centrodestra di rompere una prassi». Quindi punta il dito contro il segretario del Pd: «Poche ore dopo la mia elezione mi sono piovute accuse da una parte del Pd, Veltroni in testa, di essere stato eletto con i voti della destra e che si doveva tornare ad Orlando presidente. Mi sono rifiutato. Da allora un continuo di offese, intimidazioni, insinuazioni di essermi venduto al Pdl». Per Villari la scelta di proporre Sergio Zavoli come alternativa è stata «poco generosa e cinica» e aggiunge: «Nella seconda Repubblica abbiamo visto di tutto, ma mai il mio partito si era mosso con questa violenza». «Sia chiaro - conclude -: non vogliono che la commissione funzioni, ma esclusivamente la disponibilità del mio incarico, la poltrona». Insomma la battaglia del senatore che, dopo l'espulsione dal Pd si è iscritto al gruppo misto, è tutt'altro che conclusa. Anche se in maniera unanime Pdl e Pd gli chiedono di mollare il posto. Anche se forse non sarà necessario. Secondo Fabrizio Morri, capogruppo del Pd in Vigilanza, per sciogliere la commissione non ci sarà bisogno di ulteriori atti. «Questo perché - spiega -, in base al regolamento del Senato che sarà fatto proprio nell'occasione anche dalla Camera, la bicamerale sarà automaticamente sciolta per malfunzionamento, per impossibilità a funzionare». Se sarà così tutto da rifare.