Gianfranco e i suoi dubbi sulla costruzione del Pdl
Fini, l'altro ieri, si è limitato a svolgere bene il suo ruolo istituzionale e la battuta in risposta al ministro Elio Vito ineriva alla funzione e niente più. La verità è che è seriamente preoccupato per la costruzione del Pdl, cantiere che non procede in maniera soddisfacente e che fa nascere inquietanti interrogativi. Quali? Cerco di immaginare i quesiti che potrebbero rincorrersi nella mente di Fini: ad esempio, se ha avuto senso il metodo di lavoro verticistico, a scapito del dibattito; come funzionerà il Pdl edificato non dalle fondamenta, ma a cominciare dal tetto; che ruolo potrà avere la base degli iscritti e dei militanti; in qual modo saranno forgiati e, quindi, selezionati i gruppi dirigenti ai vari livelli. Il gazebo non è tutto e, spesso, è troppo poco; poi, c'è la prova del nove, anzi del fuoco, dei congressi. Io stesso mi domando con quali regole e in che tempi saranno celebrati, ma soprattutto mi interrogo sull'ampiezza dello spazio dialettico, perché le anime del Pdl sono tante e variegate ed hanno il diritto di confrontarsi, di scontrarsi anche e di contarsi. Qui, stiamo varando un grande raggruppamento a marcata vocazione maggioritaria, che ha, dunque, il dovere di venire al mondo in foggia di partito reale, non virtuale. Non so se negli smarcamenti di Fini ci sia un po' di fastidio verso il leader weberiano incarnato da Berlusconi. Credo di no, ma non vado molto lontano dal vero se attribuisco a Fini l'idea che il Pdl dovrebbe strutturarsi, guardando al di là del naso, cioè al dopo Berlusconi. Finché c'è lui, tutto si regge, financo il partito virtuale, ma quando il leader che nessuno contesta, tra cinquant'anni, deciderà di lasciare, se, oggi, non si cementa una compagine solida e radicata, allora tutto potrebbe disciogliersi come neve al sole. Il Pd, la scommessa a futura memoria di Veltroni, forse, si fondò proprio sulla previsione dell'implosione del centrodestra nel dopo-Berlusconi. Mi metto nei panni del presidente di un partito che ha alle spalle sessant'anni di battaglie, di sofferenza, di emarginazione, sopportate con dignità ed orgoglio. Ebbene, questo leader, senza la garanzia di giungere ad un nuovo partito ben degno di rappresentare lo sbocco della rivoluzione berlusconiana, è umano che possa nutrire qualche remora a sciogliere la sua compagine e gettare via sessant'anni di storia. Non lo so, ma è ipotizzabile che Gianfranco Fini esorti di continuo Berlusconi di non dimenticare mai che il Pdl ha senso solo se saprà camminare con le sue gambe, a prescindere da chi lo guiderà. C'è da pensare, inoltre, che i dubbi di Gianfranco coincidano spesso con quelli di Silvio. *Deputato del Pdl