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Un secolo di storia nell'archivio del Divo

Il senatore a vita Giulio Andreotti

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{{IMG_SX}}Ci vorrà ancora del tempo prima che venga aperto anche perchè Giulio Andreotti continua ad «alimentarlo» quotidianamente e a consultarlo per i suoi libri, interventi, discorsi. Eccolo l'archivio più temuto e ambito della Repubblica depositato nel caveau blindato dell'Istituto Don Sturzo dove tutti i principali esponenti della Dc hanno lasciato le loro carte. L'ANSA ha avuto la possibilità di visitarlo e, per la prima volta, di fotografarlo. Ci sono voluti due mesi per trasferirlo in via delle Coppelle 35 nell'antico Palazzo Baldassini (opera dell'architetto Sangallo il giovane) da via Borgognona 47 dove in uno appartamento era custodito l'Archivio per antonomasia. Sono 3.500 grandi faldoni - «buste» secondo la denominazione archivistica - conservati in due grandi archivi a scomparti mobili che hanno occupato due stanze dei sotterranei dell'Istituto che già accoglie le 1.400 buste di Luigi Sturzo, l'intero archivio della Dc, quello di Flaminio Piccoli, le trecento «buste»Giovanni Gronchi e le 350 di Mario Scelba.   L'Archivio Andreotti è già stato definito due anni fa di «interesse storico particolarmente importante». Il lavoro di classificazione è quasi definito per le prime carte, quelle del giovanissimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giulio Andreotti che aveva la delega per il cinema e lo spettacolo tra il '47 e il '53. Sulle singole scaffalature dei due grandi armadi che scorrono su rotaie appare la scritta «G.A.» e alcune sezioni recano la scritta «riservato» per le carte di natura personale. Ancora oggi la scheda di Giulio Andreotti sul sito del Senato reca, alla voce professione, la dicitura «giornalista» e questo è l'archivio di un politico che non ha mai dimenticato il suo mestiere. Infatti, da ogni faldone spuntano ritagli di giornali, appunti, foto, discorsi, documenti vari ed anche, in molti casi, libri, pubblicazioni inerenti l'argomento. Spiega l'archivista che sta lavorando alla classificazione, Luciana Devoti, che si tratta di un archivio che copre circa 600 metri lineari. È stata raggiunta un'intesa con Andreotti per stabilire, tenendo conto della attuale normativa, le «linee di azione rispetto alla conservazione, tutela, accesso e valorizzazione del complesso documentario». «Quello che colpisce è la cura con cui si sono archiviati documenti vari per evidenti fini di studio o di documentazione personale che l'Istituto ha solo ordinato per seguendo lo schema pratico ma efficace di archiviazione che via via si è adottato», dice l'archivista. Il tutto era poi sintetizzato nelle schede collocate in due grandi classificatori a schede da cui spuntano riferimenti a grandi fatti storici (Alleanza atlantica, comunismo, De Gasperi ecc.) ma anche le piccole annotazioni dei rapporti di Andreotti con il suo elettorato. Una mole incredibile di carte, ma c'è chi ancora oggi giura di camion di faldoni arrivati in Vaticano quando Andreotti abbandonò definitivamente il dicastero della Difesa.   Due sono le sezioni principali dell'archivio; quella seriale divisa in 15 argomenti (Camera dei Deputati, Cinema, Dc, Discorsi, Divorzio, Elezioni, Europa, Fiumicino, Governi, Parlamento, Personale, Trieste, Scritti, Senato e Vaticano). Si tratta di circa 110 «buste». Ci sono poi le «Pratiche numeriche», cioè la seconda sezione corrispondenti a pratiche numerate da 1 a 10.560 ( 2400 «buste» circa). Ad ogni pratica, comunque, possono corrispondere uno o più fascicoli, contenenti documentazione relativa ad affari diversi. Ad esempio ci sono 80 fascicoli dedicati agli Usa e 200 al Vaticano, con relativi «incartamenti» riguardanti i Papi dello scorso secolo. Otto decimi delle carte sono disponibili in buste ma c'è anche un grande archivio fotografico, uno sonoro e audiovisivo e perfino una raccolta dei menu e dei cartoncini degli inviti ai vertici e pranzi ufficiali a cui il sette volte Presidente del Consiglio ha partecipato. Ci sono fascicoli annuali, come quello sul 1978, l'anno della morte di Aldo Moro e della elezione di due Papi dopo la morte di Paolo VIø. Andreotti molto spesso chiede questa o quell'incartamento ma anche, con cadenze varie, le fa avere all'istituto che incrementa così uno dei suoi «giacimenti» più importanti, certamente il più ambito per storici e giornalisti.  

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