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Il Pdl deve darsi un profilo nordista

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«Quando non ci sarà più Berlusconi, la Lega andrà da sola» disse il Senatùr, contraddicendo la visione del futuro di Silvio Berlusconi. Il quale ha in animo di riunificare in un solo partito nazionale tutto il centrodestra, secondo un disegno abbozzato nel 1994 con la doppia alleanza di Forza Italia con la Lega al Nord e An al Sud, rifinito nella lunga stagione della Casa delle Libertà (coalizione a quattro durata dal 2000 al 2008), proseguito con la costituzione del Popolo della Libertà e che si perfezionerà in un partito nazionale federato con il movimento leghista. La divaricazione di visioni non impedisce l'alleanza di governo, ma rende difficile il rapporto politico quotidiano, per il timore della Lega Nord di vedere il proprio spazio eroso da Silvio Berlusconi. Un timore che negli anni ha portato la Lega a cambiare la sua natura profonda. Da partito anti tasse e antistatalista - è celebre il manifesto con il Nord raffigurato come una gallina dalle uova d'oro «portate a Roma», cioè al governo centrale - la Lega Nord è diventata il partito neostatalista del territorio, così come le era stato in passato la Dc del Veneto (meno quella Lombarda). Cioè un partito in grado di canalizzare, attraverso il livello amministrativo locale, il trasferimento di risorse pubbliche dal centro alla periferia. Senza mettere in discussione il ruolo del pubblico rispetto al privato. La sua battaglia fondamentale di questi anni - il federalismo fiscale - non è più il modo in cui lo Stato e tutto il potere pubblico riduce il suo perimetro e il pubblico amministratore è sottoposto a un controllo popolare più stringente, secondo i principi della sussidiarietà. Esso diventa lo strumento per dare al potere politico locale del Nord, dove la Lega ha eletto numerosissimi amministratori, più risorse. Non è un caso che Lega Nord e Rifondazione Comunista abbiano la stessa posizione di favore verso il monopolio pubblico dei servizi locali (acqua, gas, rifiuti); non è un caso che Calderoli abbia cercato e trovato il sostegno del Pd delle regioni rosse sul progetto di federalismo fiscale, e che Bossi abbia chiesto di reintrodurre l'Ici sulla prima casa, la cui abolizione ha rappresentato invece uno dei principali motivi di consenso di Silvio Berlusconi. Il quale ha dovuto, ad esempio, spiegare agli alleati (e anche al sindaco di Milano e al presidente della Lombardia, che pure leghisti non sono) che privatizzare un'azienda vuol dire rinunciare a imporre scelte industriali. E che se Malpensa fosse stato un buon investimento, forse avrebbe reso profittevole anche Alitalia. La tensione è destinata a durare. Ma non porterà a una rottura dell'alleanza. Bossi sa bene che senza Berlusconi è destinato all'irrilevanza, anche se con Berlusconi è costretto ad esser gregario. Il PdL, invece, dovrà darsi anche un proprio profilo nordista che guardi ai veri interessi del mondo produttivo.

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