E ora prepara l'uscita sulla giustizia

Anzi, il partito che oggi è guidato da Ignazio La Russa è pronto ad aprire un vero e proprio fronte nella battaglia che Silvio Berlusconi considera più delicata. E proprio sul punto più importante per il premier: le intercettazioni. In particolare An non vuole cedere sulla possibilità che venga introdotto uno stop anche per i reati che riguardano la pubblica amministrazione. Insomma, se si indaga su corruzione o concussione deve essere libero di poter mettere sotto ascolto gli indagati. Dunque le registrazioni telefoniche non sarebbero circoscritte soltanto ai reati di mafia. Anche perché spesso ai mafiosi gli investigatori arrivano proprio seguendo chi è indagato per altre fattispecie. Non è un caso, infatti, che Giulia Bongiorno, presidente della commissione giustizia ma soprattutto la maggiore consigliera del presidente della Camera in materia, due giorni fa si è espressa in maniera inequivocabile: «L'attuale testo base (del ddl sulle intercettazioni, ndr) prevede che possano essere autorizzate delle intercettazioni anche nel caso di reati contro la Pubblica Amministrazione. Ma io credo che incidere sulla lista dei reati non risolva in alcun modo il problema. Limitare tale lista non elimina gli eccessi. Meglio allora indicare dei paletti o dei filtri come potrebbero essere la composizione collegiale dei magistrati che le concedono e motivazioni stringenti per giustificarle». «Altrimenti - ha insistito la Bongiorno - si danneggeranno quei magistrati che rispettano la legge e non verranno sciolti i nodi cruciali». An si prepara ad alzare dunque le barricate su questo punto. Non è escluso che lo stesso Fini possa procedere a un intervento in prima persona. Certo, sembrava ci fossero resistenze di carattere protocollare visto che il galateo istituzionale imporrebbe al principale inquilino di Montecitorio di non intervenire nel merito delle questioni aperte proprio mentre ne stanno discutendo le Camere. Ma la sortita di ieri contro un emendamento anti-immigrati appena presentato (e quindi nemmeno ancora messo ai voti) dalla Lega in commissione sul decreto legge anti-crisi ha rotto qualunque argine. Fini vuole parlare, intervenire. Non vuole restare con le mani in mano. Anzi. Tutto il suo partito è in fermento. D'altro canto non è immaginabile che una sequenza di interviste di tutti i vertici del partito con battute critiche nei confronti del Pdl non è casuale, casomai sembra essere frutto di una precisa strategia. E anche l'intervento sulla giustizia non sarà marginale ma a tutto campo con richieste sulla riforma del Csm, sulla separazione degli ordini, sui poteri dei pubblici ministeri. La linea non dovrebbe essere molto lontana da quella esposta dal vicepresidente del Csm Nicola Mancino, che ha spiegato: «In tempi di emergenza come quelli attuali, se si vuole evitare che la scelta dei processi sia operata dai pubblici ministeri, solo il Parlamento a maggioranza qualificata può stabilire le priorità». Ipotesi che non dispiace ai forzisti anche se avrebbero preferito che una tale disponibilità di scelta fosse lasciata all'esecutivo. Il clima rischia di accendersi. Anche Berlusconi ne è consapevole e per questo ieri ha incontrato di nuovo il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per fare il punto della situazione. E due giorni fa lo stesso premier aveva annunciato il rinvio della riforma di almeno un paio di settimane. Forse non basteranno.