Soltanto Pulcinella non usava il registratore
{{IMG_SX}} Insomma, Rosa Russo Iervolino non ha inventato nulla di nuovo - neanche in questo caso - all'ombra del Vesuvio. Ma ha introdotto un'innovazione non di poco conto. Finora le registrazioni sono sempre state sfruttate a uso di "sputtamento" dell'avversario e mai all'interno della stessa parte politica, addirittura dello stesso partito come il sindaco di Napoli ha fatto nei confronti del segretario provinciale del Pd, l'ex ministro Luigi Nicolais. A cominciare questa tarantella (tanto per usare un'espressione tanto cara al primo cittadino partenopeo, che ormai parla più in dialetto che in italiano) fu un democristiano, Silvio Gava. A ricordare l'episodio, che risale al 1957, è stato Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, e autore de «L'altra metà della storia», un libro per nulla tenero nei confronti della sinistra. Ebbene, in quel periodo il sindaco di Napoli è il monarchico Achille Lauro, 'O comandante. Il quale va a Roma, chiede soldi al governo nazionale, stringe accordi con i democristiani, poi, quando torna a Napoli, sparla dei Dc. Silvio Gava non digerisce la storia e tramite il suo segretario, Eugenio Limarzi, lo attrae nel tranello: i due si incontrano e Lauro si sbrodola in complimenti a lui e agli altri democristiani ignaro di un registratore nascosto in un candelabro. Poi, a Napoli, racconta che non riesce a governare perché il governo guidato dallo scudocrociato lo asfissia. Gava gli fa sapere che se continua così, divulgherà le registrazioni e 'O comandante pone fine al suo giochetto. Passano trent'anni e siamo al 1989, aprile '89. La Voce della Campania, battagliero periodico di sinistra (è stato diretto da Michele Santoro e di lì sono passati giornalisti come Giuseppe D'Avanzo e Renato Caprile), va in edicola con una audiocassetta dal titolo sobrio: "La conversazione". È la registrazione di una telefonata. Dentro, nel giornale (che oggi si chiama la Voce delle Voci), un concorso a premi: indovinate chi sono i due interlocutori. «Vinsero i due conversanti - ricorda oggi il direttore Andrea Cinquegrani, che da un quarto di secolo regge le sorti del giornale con Rita Pennarola -: l'allora ministro Paolo Cirino Pomicino e il consigliere regionale dc Aldo Boffa. Che infatti chiederanno il sequestro della cassetta che avevamo ricevuto in forma anonima». Pomicino e Boffa parlavano di posti e poltrone, della formazione della nuova giunta regionale, assessorati e nomine. Ma la telefonata passerà alla storia per la frase più celebre scambiata tra i due: «'O capogruppo chi s'o piglia?» Seguirà strascico giudiziario, ma i giornalisti saranno assolti. Due anni dopo, in consiglio comunale si scatena la battaglia su una variante al piano regolatore. Il sindaco, il socialista Nello Polese, tentenna sotto il fuoco delle opposizioni, Pds in testa. Sostiene prima una versione, poi un'altra. Lo tiene in scacco un giovane consigliere comunale radicale, tale Elio Vito. Sì, esatto, l'attuale ministro per i Rapporti con il Parlamento, che tra poco negherà di essere stato napoletano e finanche radicale. Vito è un rompi senza uguali, controlla le virgole. E così, Polese va in bambola. Cambia per l'ennesima volta versione. Vito, seduto al suo solito posto, in prima fila nell'emiciclo sinistro della sala dei Baroni (quella dovu fu girato «Mani sulla città» di Franco Rosi), avverte il primo cittadino: «Sindaco, aveva detto il cotrario, ora glielo faccio risentire». Avvicina il microfono a un vecchio regitratore di Radio Radicale («Lo procurai io», ricorda Antonio Cerrone, il tecnico dell'emittente) e fece riascoltare a tutta l'Aula quanto aveva detto poco prima Polese. «Scoppiò un putiferio in pieno stile Pannella, che fino a quel tempo era stato consigliere comunale proprio a Napoli», ricorda Giuseppe Scalera, allora assessore Dc e oggi deputato diniano Pdl. «Però ci aiutò a condurre la battaglia», sostiene Berardo Impegno, allora pupillo di Giorgio Napolitano e capogruppo del Pds (oggi il figlio è presidente del consiglio comunale). E siamo al novembre '92, sempre Polese è a un passo dalla crisi (vabbè, raccontiamo il finale: sarà arrestato per una tangente ricevuta da Alfredo Romeo; come si ripete la storia). Il capogruppo del Msi, Amedeo Laboccetta (oggi deputato Pdl, uno degli uomini più vicini a Fini) convoca all'Hotel Majestic, nel centro della città, una conferenza stampa dal titolo innocuo: "Sviluppo situazione politica". Si presenta con un registratore e fa ascoltare una telefonata tra l'allora questore di Napoli, Vito Mattera, e il capo cronista de Il Mattino, Giuseppe Calise. Verrà ricordata come la telefonata tra Vituccio e Peppino. I due - salteranno entrambi - in sostanza parlano delle difficoltà del sindaco e si mettono d'accordo su un servizio giornalistico da realizzare. È la fine del mondo, Labocetta racconterà di aver sentito suonare il citofono all'alba, di essere sceso e di aver trovato una busta con la cassetta davanti al portone. Sei mesi e scoppia Tangentopoli. Viene arrestato un ex assessore, Luigi Manco. E i carabinieri trovano a casa sua registrazioni con politici, imprenditori e funzionari, conversazioni lungo otto anni, dall'83 al '91. I magistrati troveranno poco arrosto. Il filone da allora ha subìto una battuta d'arresto. Fino all'iniziativa di Rosa Russo Iervolino. Solo Pulcinella non ha mai registrato, non ne aveva bisogno.