Laura Della Pasqua l.dellapasqua@iltempo.it «Se il Pdl non ...

È questo lo scenario che delinea Alessandro Campi, professore di Storia delle dottrine politiche e tra i consiglieri più ascoltati dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Non è un caso forse che un suo intervento proprio sulle criticità del Pdl, compaia nell'ultimo numero del mensile «Charta» della Fondazione Farefuturo di Fini. C'è maretta nel Pdl. Alemanno punta i piedi sui nuovi ministri. Il Pdl è già al capolinea? «È la dimostrazione che il Pdl è nato a livello parlamentre ma è ancora forte il senso di appartenza al partito. È una disputa tra An e FI. Siamo in un limbo e le tensioni sono inevitabili. Alemanno ha ragione perchè questo è un governo del presidente, se adesso si dovessero fare altri due ministri entrambi legati a Berlusconi è chiaro che dal punto di vista politico sarebbe un segnale difficile da digerire. Il Pdl non può nascere come una pertinenza personale di Berlusconi. Berlusconi è un leader ma non è il padrone del Pdl». L'operazione Pdl non la convince, come mai? «È sicuramente un evento importante per una democrazia bipolare. Ma sta nascendo sulla base di una opzione eccessivamente oligarchica, cioè su un patto fatto tra i vertici di Fi e An. Manca la discussione pubblica. Mentre la nascita del Pd è stata accompagnata da una discussione anche eccessiva, la formazione del Pdl sta scivolando via senza grandi clamori». Come mai questa assenza di dibattito? «Forse perchè tutti pensano che il Pdl sarà un Forza Italia allargato con un solo padre-padrone, Berlusconi, che decide tutto, un partito finto. Se questa è l'impressione nasce male». In che modo il Pdl si deve differenziare da FI? «Il Pdl ha un senso nella misura in cui riuscirà a sopravvivere a Berlusconi. Per questo è importante strutturarlo sulla base di regole precise. Deve avere una forte componente di democrazia interna. Tutte cose che Forza Italia non ha avuto». Qualora così non fosse, che rischi corre An? «Un conto è sciogliersi per entrare in un partito vero in cui c'è una democrazia interna, un conto è finire in un calderone in cui a contare è solo la parola di Berlusconi. È un suicidio politico». Cosa dovrebbe fare An per evitare questo suicidio politico? «Fare qualcosa ora è impossibile perchè è stato deciso un percorso rigido. Il congresso di fondazione del Pdl si risolverà nell'acclamazione di Berlusconi. Manca un sistema di regole. In che modo le diverse sensibilità che lo animano potranno esprimersi?» Forse Fini ha avuto fretta a aderire? «Dal punto di vista politico è una scommessa forte che andava fatta e An non ha sbagliato. An deve pretendere che il Pdl sia un partito vero cioè dove ci si conta, ci si confronta. FI finora non lo è stato. Nel momento in cui si accetta una scommessa importante bisogna porsi il problema di far pesare la propria forza e pretendere che sia un partito vero. Il Pdl come semplice macchina elettorale non serve a nessuno, sarebbe un fallimento».