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Il politologo Pasquino "Veltroni non controlla il Pd"

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L'ex senatore dei Ds critica Veltroni ricordando che il segretario non ha mai avuto il controllo del Pd. E spiega qual è la sua ricetta per la rinascita del partito. Professor Pasquino, qualche mese fa, in occasione delle elezioni primarie del Pd a Bologna, lei aveva denunciato che il partito riesce a tenersi stretto solo il potere. Alla luce di quello che stiamo vedendo ha cambiato idea? «È chiaro che il Pd cerca di mantenere in piedi quello che rimane di un'organizzazione gracile e scossa dai recenti avvenimenti. E quindi non può procedere in maniera determinata ad un ricambio ampio e accelerato come sarebbe auspicabile. Il ricambio non può consistere nel mettere i giovani al posto dei "vecchi" del partito soprattutto se i giovani non sono in grado di sostituirli degnamente. La situazione è molto delicata perché il segretario non ha il controllo della sua organizzazione di partito». Pensa che Veltroni sia il leader di un partito del quale ha perso il controllo? «Penso che Veltroni non abbia mai acquisito il controllo del partito. Veltroni ha il controllo della segreteria e dei suoi collaboratori che lo sostengono. Anzi, credo che i suoi collaboratori lo sostengano fin troppo e in qualche occasione dovrebbero avere la forza di criticarlo. Credo che Veltroni non conosca il suo partito. Il soggetto politico che è venuto fuori dopo la sua elezione alle primarie del Pd nel 2006 è un'organizzazione di cui lo stesso segretario ha una scarsa conoscenza». Questo limite dipende dal carattere troppo «romano» del Pd? «Credo che Veltroni abbia prodotto una fusione frettolosa di due organizzazioni di partito. Nessuna di queste due organizzazioni stava bene. I dirigenti hanno salvaguardato le loro posizioni senza preoccuparsi di ampliare e migliorare il reclutamento. Il problema non è legato al "Partito del Nord". Anzi, vediamo che il problema riguarda la Campania, dove il partito aveva difficoltà. E ha riguardato anche Pescara. Ma i problemi non finiscono qui. Guardi quello che sta accadendo il Sardegna dove il governatore Renato Soru ha avuto uno scontro con l'organizzazione del Pd. Il "problema" non riguarda il Nord, dove ci sono dei leader che hanno la capacità di tenere insieme l'organizzazione di un partito come Sergio Chiamparino e Massimo Cacciari».   Cosa avrebbe fatto al posto di Luciano D'Alfonso a Pescara e di Rosa Russo Iervolino a Napoli? «Ciascuno ha la sua sensibilità e la sua storia. Penso che sarebbe stato opportuno per la Iervolino e per Bassolino ritirarsi già da tempo. Questo non significa che avrebbero dovuto lasciare la politica e non concorrere per altre cariche. Il sindaco di Pescara D'Alfonso aveva fatto bene a dimettersi. Adesso non so cosa accadrà. La scelta di presentare un certificato medico mi ha incuriosito». Lei avrebbe riprovato Veltroni come leader di partito alla luce del suo fallimento come segretario dei Democratici di sinistra (1998-2001)? «Il problema andava posto. Non si è capito se Veltroni sia solo un leader mediatico o se sia in grado di costruire o ampliare un'organizzazione. La risposta è che Veltroni ha un appeal mediatico, ma è poco interessato al partito. D'Alema è stato un organizzatore di partito anche se i suoi errori non attengono alla capacità di organizzare il partito. Ecco, forse a Veltroni manca un organizzatore come D'Alema». Pensa che Massimo D'Alema stia logorando Veltroni in attesa del crollo finale delle elezioni europee di giugno?   «Anche D'Alema sta logorando se stesso. E non è già più un'alternativa a Veltroni. L'alternativa all'attuale segretario non è D'Alema. Quando in un partito si innesca una competizione come quella che abbiamo visto tra Massimo e Walter, il logoramento colpisce soprattutto il partito. Oggi non sappiamo ancora quale sarà la collocazione europea del Pd. E su questo il partito non ha dato nessuna risposta. La stiamo aspettando». L'ex ministro della Giustizia Clemente Mastella propone il ritorno della Margherita e dei Democratici di sinistra. «Non credo che Mastella possa credibilmente fare un proposta di questo genere. Non penso che tornare indietro sia molto semplice. Questa sarebbe l'ammissione di un errore. Il contraccolpo di questa scelta sarebbe tremendo. Ritengo che si debba riflettere seriamente su quello che è successo e cosa non ha funzionato. Molte delle cose che non sono andate per il verso giusto erano state previste dalla mozione 3 al congresso dei Ds che sancì la fusione con la Margherita. Credo che si debba dedicare del tempo vero all'organizzazione del partito e alla sua ridefinizione. Secondo l'articolo 1 del suo Statuto questo dovrebbe essere un partito federato e dare grande autonomia alle realtà locali e responsabilità a chi le guida. Ma l'articolo è rimasto ancora inapplicato».  

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