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In quest'ultimo periodo l'Università è stata oggetto di ...

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Ed è stato ministro della Difesa nel Governo Amato nel 1992. Il movimento dell'Onda e gli attacchi alla Gelmini che hanno accomunato studenti, docenti e famiglie le sembrano giustificati? «Forse è stato un errore all'inizio della contestazione demonizzare la Gelmini perché i tagli non se li è inventati. Sono il risultato di una manovra del Governo, contestata dall'opposizione, che la Gelmini si è limitata a spendere operando delle scelte. Nella protesta hanno marciato insieme chi si batteva per la meritocrazia e chi per l'egualitarismo o la demeritocrazia. La scelta dei tagli è da condannare? «L'università da anni è un sistema in sofferenza perché sottofinanziato. Se non ci sarà un'inversione di tendenza credo che le università dovranno portare i libri in Tribunale. Oggi più del 90% del bilancio è spesa corrente e ciò impedisce di svolgere la didattica e la ricerca». Quali autoriforme possono incidere sulla riduzione dei costi? «Si potrebbero tagliare, senza impoverire l'offerta formativa, corsi sottodimensionati per frequenze, corsi ripetitivi da mutuare invece da una università all'altra, corsi poco frequentati o identici svolti a pochi chilometri di distanza come fra Enna e Caltanissetta. Bisognerebbe fare una valutazione dell'offerta territoriale pensando ad uno sviluppo sinergico delle università presenti in ogni regione». Come valuta le misure specifiche della mini riforma Gelmini? «La riforma è un buon punto di partenza. La Gelmini ha impresso una svolta di grande novità per i rettori virtuosi». Che dice della feroce campagna denigratoria dei media verso le Università? «La denigrazione gratuita non è foriera di buone riforme. Per combattere la baronie, i clientelismi, le parentele accademiche non bisogna sparare nel mucchio, ma saper distinguere. Bisogna essere più severi ma anche più sereni nel giudicare l'università. Chi trancia giudizi dovrebbe conoscere meglio i meccanismi di funzionamento in Italia e fuori. Nell'era della conoscenza globalizzata non si possono blindare "i cervelli" a casa propria, dovremmo avere anche noi più studenti e ricercatori stranieri». Cosa occorre fare per diventare più attraenti per gli stranieri? «Per attrarne di più specie dall'area mediterranea bisognerebbe superare non solo le barriere linguistiche ma l'autoreferenzialità culturale. In Sicilia, per esempio le Università non promuovono quei saperi utili per capire quei paesi. Mi domando quanti dipartimenti di arabistica ci sono nelle Università del Sud e quanti sono i docenti stranieri di ruolo. È difficile attrarli se non si conosce la loro identità. Una politica di cooperazione culturale paritaria richiederebbe la formazione di risorse umane non per l'Africa ma con l'Africa».

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