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Vitalone dimenticato dalle istituzioni

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Per quanto il presidente della Repubblica in persona, anche nella sua veste di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, avesse tenuto a manifestare subito e pubblicamente il suo cordoglio alla famiglia, ricordando «l'impegno politico e istituzionale» di Vitalone, nessuno di quelli che occupano cariche, diciamo così, operative ha ritenuto di potersi o doversi scomodare per essere presente ai funerali. Non, per esempio, il vice presidente del Consiglio Superiore Nicola Mancino, peraltro già collega di partito di Vitalone. Non qualcuno dei vertici della Cassazione. Non un ministro o un sottosegretario del governo. A giustificare tante e poco onorevoli assenze non potrebbero francamente bastare le poche ore mancanti al Capodanno. Il povero Vitalone meritava più rispetto, e solidarietà, per aver dovuto affrontare nella sua attività sia di magistrato sia di politico prove difficilissime, uscendone alla fine a testa alta. Quelle assenze, specie dell'ordine giudiziario, sono state un po' una bruttissima prolunga delle ostilità odiosamente, e per fortuna inutilmente, opposte negli anni passati al pieno e legittimo reintegro di Vitalone nella carriera di magistrato. Eppure egli era stato pienamente scagionato dalle cervellotiche accuse rivoltegli in sede giudiziaria, addirittura di complicità -insieme con Giulio Andreotti- nel delitto di Mino Pecorelli. I veri torti di Vitalone, in realtà, erano stati la stima e l'amicizia ricambiati con Andreotti, le sue doti professionali che quando sono particolarmente buone «suscitano invidie e risentimenti» ha ricordato il senatore a vita apprendendone la morte. La pur gelida basilica al Verano era affollata l'altro ieri solo di familiari e amici di Vitalone, prevalentemente ex di qualcosa che è stato spazzato via in circostanze tutt'altro che trasparenti e chiarite. O chiarite nel senso peggiore per gli accusatori. C'era innanzitutto Andreotti, con la moglie, assolto anche lui nelle aule giudiziarie. C'era l'ex segretario della Dc Arnaldo Forlani, condannato per finanziamenti illeciti percepiti dal suo come da tutti gli altri partiti, anche da quelli i cui segretari sono stati risparmiati. C'erano l'ex ministro della Giustizia Clelio Darida, arrestato e regolarmente assolto, e l'ex ministro del Bilancio Paolo Cirino Pomicino, il cui elenco di processi è lungo quanto quello delle assoluzioni.

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