Errori a ripetizione e sconfitte elettorali Per il segretario un anno da dimenticare
Il suo 2008 è una sintesi perfetta del Murphy-pensiero. E non si tratta certo di casualità, considerando che il contributo dato dal segretario alle proprie sventure è tutt'altro che marginale. Anzi verrebbe da dire che è stato decisivo visto che il leader del Pd ha sbagliato, sistematicamente, ogni mossa. Ma partiamo dall'inizio. Il 2008 del segretario Pd si apre con un anticipo di ciò che verrà. Il governo Prodi, già in affanno, sta cercando di districarsi in una complicata trattativa sulla legge elettorale per evitare il referendum. Ci pensa Dario Franceschini, vice di Walter, a gettare un po' di benzina sul fuoco bocciando il sistema tedesco e rilanciando il presidenzialismo alla francese (strada maestra verso il bipartitismo). Tecnicismi che fanno infuriare i piccoli dell'Unione, ma anche tutte le anime del Pd. Nel frattempo l'esecutivo comincia a subire il colpo dell'emergenza-rifiuti campana, ma è sulla legge elettorale che le divisioni all'interno del centrosinistra diventano sempre più profonde. Anche perché Veltroni non nasconde il suo obiettivo. «C'è da parte nostra la piena disponibilità a cercare il dialogo nella maggioranza e a ricercare la convergenza - spiega il 15 gennaio - ma ci sono due punti sotto i quali non si può andare: la riduzione della frammentazione politica e la ricerca di un nuovo bipolarismo non coatto ma programmatico». Parole che finiscono come macigni in testa ai partitini che, da due anni, stanno condizionando con i loro veti le decisioni di Prodi. Ma è il 19 gennaio che Walter compie il suo capolavoro quando, da Orvieto, annuncia: «Quale che sia il sistema elettorale, o la bozza Bianco o il referendum o l'attuale legge, il Pd si presenterà con le sue liste». È la prima rozza teorizzazione del solipsismo dei Democratici, per molti l'inizio della fine del governo guidato da Romano Prodi. Il 21 gennaio Clemente Mastella annuncia l'uscita dell'Udeur dalla maggioranza e ironizza: «La scelta di Veltroni è quella di correre da solo. Ora questa opportunità ce l'ha, la colga al volo...» A questo punto il segretario del Pd prova ad ingranare la retromarcia. Si rende conto che la crisi e le elezioni anticipate potrebbero essere uno tsunami per un partito che è ancora in fase di rodaggio. Ma è troppo tardi. L'estremo tentativo di Franco Marini non produce risultati: si va al voto. Il segretario ha la possibilità di riscattarsi con la campagna elettorale, ma fallisce anche in questo. Il suo modello di riferimento è Barack Obama. «Yes we can», tradotto nella versione romanesca «Se po' fa'», diventa il grido di battaglia. Veltroni gira in lungo e in largo l'Italia, ma è nelle segrete stanze che si decidono le sorti del Paese. Ed è qui che il segretario, fedele alla sua teoria dell'autonomia, decide che il Pd correrà solo ma anche no. Veltroni, nell'ordine, rifiuta l'alleanza con Pdci, Prc, Verdi e Sinistra Democratica (che andranno insieme alle elezioni sotto le insegne della Sinistra l'Arcobaleno), ingloba una decina di Radicali nelle liste dei Democratici, rifiuta i Socialisti (per la verità sono loro che rifiutano di sciogliersi nel Pd) e stringe un patto di ferro con Antonio Di Pietro e l'Italia dei Valori. Le condizioni prevedono: simboli separati ma apparentati alle elezioni, un unico programma e, dopo il voto, un unico gruppo parlamentare. Sarà l'entusiasmo per l'intesa, ma Walter comincia veramente a pensare che «Se po' fa'». E l'11 aprile, a poche ore dalle elezioni, si sbilancia: «Io penso di vincere e ogni ora che passa sono sempre più sicuro e per questo non si pone il problema della percentuale per la quale essere soddisfatto». Come è andata a finire è cosa nota: il Pd ha superato a malapena il 33% e l'Idv, grazie anche alla scomparsa della sinistra radicale, è passato dal 2,6% del 2006 al 4,4%. Che tradotto in parlamentari significa: 29 deputati e 14 senatori. Abbastanza per fregarsene del gruppo unico con il Pd e andare da soli. Ma Veltroni ha ancora un asso nella manica. La «sua» Roma abbandonata anzitempo per correre alle politiche. Lì, con molta lungimiranza, il Pd ha deciso di puntare su un cavallo di razza: l'ex sindaco Francesco Rutelli. Nel giro di 15 giorni Walter incassa la sua seconda sconfitta. Niente male per uno che fa il segretario da meno di un anno. Il resto è storia: la scelta sbagliata di incaponirsi su Leoluca Orlando come presidente della Vigilanza Rai con il risultato di vedersi eletto sotto il naso Riccardo Villari, i guai giudiziari che hanno colpito le amministrazioni a guida democratica, la sconfitta in Abruzzo e l'ulteriore rafforzamento di Di Pietro ai danni del Pd, la fronda interna al partito che è già pronta a fargli le scarpe. A suo tempo Veltroni disse che avrebbe lasciato la politica per andare in Africa. Chissà se la legge di Murphy vale anche lì?