L'affondo di Silvio a Veltroni «Vediamo se molla Di Pietro»
Io continuo a parlare normalmente al telefono, perché se venissero intercettate mie telefonate di un certo tipo, me ne vado in un altro Paese. Non accetterei di vivere in un Paese in cui non è rispettata la privacy, che è il primo diritto»? Il pensiero, ovvio, corre alle indiscrezioni di quest'estate. Alle voci che davano per imminente la pubblicazione di nuove trascrizioni. Nel vuoto di notizie certe fioccarono le fantasie più strambe, tra cui anche telefonate tra una ministra incarica, Mara Carfagna, e lo stesso premier: ipotesi improbabile perché per essere intercettati (almeno dalla magistratura) bisogna essere indagati e al momento nè il premier nè la ministra appaiono sott'inchiesta. Comunque, le chiacchiere non sono finite. Il Cavaliere teme qualche altra sventagliata di fango? Giorgio Stracquadanio, spin doctor del premier, se la ride: «Macché, con tutto quello che è venuto fuori che altro deve uscire? No, guardi, quella frase va letta in un altro modo». Un altro modo? «Sì, la prima impressione è che sembri una frase preventiva. Come se volesse mettere le mani in avanti. Invece la legga bene. Parola per parola. E vedrà che va intesa in un altro modo». Ancora? E quale altro modo? «E cioé che se si fosse trovato lui spiattellate intercettazioni di un certo tipo se ne sarebbe già andato in un altro Paese». Ma di quale tipo? «Per esempio qualche intercettazioni compromettente di un figlio. Ma così, lo dicevo solo a titolo di esempio...». Insomma, il riferimento a Di Pietro è tutt'altro che casuale. Anche se pubblicamente il premier, forse proprio perché premier, s'è ben guardato dal fare battute o allusioni, se non soffuse, a Cristiano Di Pietro e alle sue telefonate di raccomandazione fatte a Mario Mautone, provveditore alle Opere pubbliche di Campania e Molise, in pratica un dipendente del ministro delle Infrastrutture quando questi era il padre di Cristiano, Antonio. Il tiro al piccione, in questo caso l'ex pm, da tutti gli uomini più vicini al premier è ormai chiaro. Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato del Pdl, ormai ne ha fatta una questione personale e bombarda ogni giorno in maniera più martellante. E, come se fosse un gioco delle parti, il suo vice, Gaetano Quagliariello, gioca di fino: «Nel Pd convivono due anime. Quelli che si vorrebbero staccare dall'abbraccio mortale con Di Pietro, come i dalemiani. E quelli che invece vogliono continuare a fare il partito dei giudici. È cruciale in questo senso quanto sta accadendo in Abruzzo, dove il partito è sotto scacco dei magistrati e dove vive anche il ministro ombra della Giustizia, Tenaglia. Non è un caso che si stato mandato Brutti come commissario regionale. Si sta giocando la battaglia finale». E Veltroni? «Tentenna. Un giorno corre dietro i pm, un altro li attacca». È ricattato pure lui? «Questo non lo so, di certo tutto il vertice del Pd sembra piuttosto preoccupato da quanto può scaturire dagli sviluppi delle inchieste. Vedremo. E Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Pdl, è ancora più esplicito : «Il nodo non consiste tanto nei cosiddetti costi della politica quanto in una più netta separazione tra politica e gestione degli affari. Rispetto a tutto ciò Di Pietro è squalificato due volte: per il suo oltranzismo e per il comportamento discutibile dei suoi famigli, parenti ed avvocati al seguito. Prima il Pd regola questo rapporto politico, prima è possibile che torni la normalità nella vicenda politica italiana in una dialettica serrata e seria tra maggioranza ed opposizione». La battaglia finale è già cominciata. Berlusconi la combatte a suon di battute e di voti. Dopo la batosta abruzzese prepara la seconda offensiva d'inverno in Sardegna dove Di Pietro sosterrà la sinistra oltranzista di Renato Soru. Il quale però non è in rotta con i moderati del Pd. Se il Pdl vince anche sull'Isola, a sinistra rotoleranno altre teste. E anche le alleanze saranno riviste.