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Berlusconi: "Si parte dalla giustizia"

Silvio Berlusconi

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{{IMG_SX}}Ma dopo l'appello al dialogo del presidente del Senato Renato Schifani il confronto fra i poli resta ancora incagliato nelle sabbie delle polemiche, con la maggioranza che pone come condizione al confronto il divorzio del Pd dall'Idv e l'opposizione che rinvia al mittente quello che definisce un «diktat». «È un anno terribile, quello che ho davanti», preannuncia il presidente del Consiglio nel corso di un collegamento telefonico da Milano con la 'Comunità Incontrò di don Pierino Gelmini, ad Amelia. Oltre al «governo del Paese in un momento difficile», sottolinea il premier, il 2009 sarà denso di impegni: «A giugno abbiamo la campagna elettorale per le amministrative insieme alle importantissime elezioni europee», ricorda il Cavaliere. Ci sarà poi la presidenza del G8, affidata all'Italia. «Sarà la mia terza volta», ricorda Berlusconi, sottolineando che si tratta di un «record assoluto». Ma per Berlusconi, che dice di sentirsi «come un diciottenne», il 2009 sarà soprattutto l'anno delle riforme. «A cominciare da quelle delle intercettazioni e della giustizia, che ci occuperanno molto», sottolinea il premier che comunque si dice «sereno» grazie grazie a «due gruppi parlamentari che garantiscono la vittoria». Il premier non cita il federalismo, ma è una dimenticanza che stavolta non scatena polemiche con la Lega, che considera riforma federale una priorità. «Le parole di Berlusconi sulla giustizia vanno benissimo: andrà a segno come sta andando a segno il federalismo con cui siamo già partiti...», commenta Roberto Calderoli, disinnescando così qualsiasi polemica. Il tema delle riforme anima il dibattito fra i due schieramenti. Ieri era stato Schifani a lanciare un appello al dialogo. «La scommessa che questa legislatura sia costituente non deve essere persa», aveva detto il presidente del Senato, ricordando il «grande segnale per la semplificazione dato dagli elettori» in aprile. Ecco perchè, aveva aggiunto, «spero che nel 2009 la politica sia meno litigiosa». Ma quella auspicata da Schifani resta una strada in salita: la maggioranza pone infatti come condizione al confronto il divorzio di Walter Veltroni da Antonio Di Pietro. E l'opposizione non ci sta. «Nell'anno che si apre, il Pd sarà chiamato a una scelta senza ambiguita» per porre fine alla «alleanza-sudditanza» con l'Italia dei Valori, osserva Daniele Capezzone, portavoce di Fi. Mentre Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, denuncia i «14 anni di ritardo con cui Veltroni si è reso conto» del problema giustizia e il suo collega di partito Gaetano Quagliariello lo critica per il «garantismo a corrente alternata» del Pd. Sulla stessa linea An: «Sì al confronto, ma il Pd deve scegliere, o si apre ad un civile dibattito o resta piegata in ginocchio a Di Pietro», attacca il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri. Ultimatum che non solo viene rispedito al mittente dall'opposizione, ma che sembra anche ricompattare la turbolenta alleanza Pd-Idv: «Il necessario confronto sulle riforme non nasce attraverso i diktat», replica a muso duro Giorgio Merlo (Pd), secondo il quale «il partito democratico non intende rinnegare se stesso». In politica, gli fa eco Massimo Donadi, capogruppo del partito di Di Pietro, «se qualcuno ha voglia di dialogare lo fa e basta, non pone condizioni». E dal Pd Andrea Orlando sfida il premier su intercettazioni e giustizia. a partire dalle proposte del suo partito suscitando la replica del Pdl che con Francesco Casoli ritiene che il partito di Veltroni voglia solo «gettare fumo negli occhi». Gli unici ad aprire ad un immediato confronto sono i centristi: «L'Udc è pronto confrontarsi con il governo a partire dalla riforma della giustizia e dalla nuova disciplina delle intercettazioni, che si fa sempre più urgente», afferma infatti Michele Vietti.  

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