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"Lega e Pdl insieme federati"

Sandro Bondi

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Piuttosto si tratta di un progetto al quale lavorare di pari passo con la nascita del Pdl. «È una proposta che non mette in alcun modo in discussione l'autonomia della Lega Nord — spiega — E non prevede alcuna risposta immediata da Bossi. Si tratta di creare un legame duraturo, un'alleanza strategica tra due forze che sono molto vicine». In questi giorni però tra Umberto Bossi e Berlusconi ci sono state scintille. Non è un buon viatico per una futura federazione. «Ma no, si tratta di normale dialettica tra partiti diversi. Per questo, però, bisogna trovare un luogo in cui ci sia questo scambio di valutazioni e in cui si possano prendere delle iniziative politiche comuni. Ma la stabilità del Paese non passa solo dalla federazione tra noi e la Lega. Occorre anche arrivare a far nascere il partito del Popolo della Libertà e bisogna che si consolidi in Italia una sinistra riformista. E invece Veltroni è molto distante da questo obiettivo. Il processo di nascita del Pd, che era iniziato nel migliore dei modi, si è bloccato. Il Partito Democratico si sta disgregando e questo non è un bene per il Paese».   E i motivi di questa «crisi di crescita» quali sono? «Anzitutto l'alleanza con Di Pietro. Quel legame ha impedito fino ad oggi al Pd di diventare un vero partito riformista. Anzi hanno rinnegato la loro cultura di riferimento, la più antica, quella garantista, che dialogava con il mondo cattolico. E si sono alleati con chi invece si riconosce in una cultura profondamente antidemocratica come quella di Antonio Di Pietro».   Addirittura antidemocratica? «Sì, quello dell'Italia dei Valori è un movimento di destra, direi addirittura neofascista. Io sono un uomo che viene dalla sinistra del Pci, non capisco come faccia Veltroni a dialogare con loro. Questa è la fine di un partito riformista. Se vuole avere un futuro il Pd deve sganciarsi da Di Pietro, non ha alternativa. Hanno fatto un errore enorme, si sono "imbarcati" con loro invece di tentare altre strade. Come ad esempio l'alleanza con i socialisti».   Ma secondo lei perché hanno compiuto questo sbaglio? «Perché la classe dirigente che è arrivata dopo Berlinguer ha avuto come stella polare l'opportunismo e il cinismo. Non hanno più il senso della responsabilità nazionale, del legame con la cultura sociale della sinistra. Da Veltroni a D'Alema è una classe dirigente che ha fatto dell'opportunismo la propria carta d'identità. E questo ha portato alle difficoltà che ci sono oggi nel Pd. C'è una disumanità crescente, anche nei confronti dei loro colleghi di partito. Chi cadeva non ha mai avuto solidarietà. Basta guardare l'atteggiamento verso Del Turco. Io ad esempio non ho mai dubitato della sua onestà. Ma gli unici sostegni all'ex presidente della Regione Abruzzo sono arrivati da Berlusconi. E questo rivela il loro cinismo. In fondo la crisi della sinistra deriva dal divorzio che ha consumato con la realtà. Il suo linguaggio, la sua cultura e le sue parole d'ordine tradiscono un'incapacità di comprendere la realtà e di interpretare perfino gli interessi e le speranze dei propri elettori».   A questo punto è difficile anche ipotizzare un dialogo sulla riforma della giustizia? «Se anche oggi, di fronte allo scempio delle regole fondamentali di una moderna democrazia fondata sullo stato di diritto, la sinistra non ha la forza di emanciparsi dal rapporto con una parte della magistratura, che attenta ancora una volta all'autonomia e alla responsabilità che spettano al mondo della politica, allora significa che non vogliono e non possono essere neppure aiutati ad uscire dalla loro crisi. In questo caso, e solo in questo caso malaugurato, abbiamo il dovere di proseguire da soli, con la speranza che un giorno sorgano all'interno della sinistra interlocutori nuovi e capaci di un dialogo vero e fecondo nell'interesse del Paese».   L'Italia è riuscita a limitare i danni per quanto riguarda la crisi economica. Merito del governo o di un sistema economico che è ancora in parte arretrato rispetto al resto del mondo? «Se l'Italia ha saputo reggere meglio di altri Paesi agli scossoni della crisi lo si deve anche ai valori che ancora permeano la vita e il comportamento dei suoi cittadini, ad un reticolo di legami sociali da cui nasce la vitalità delle piccole imprese italiane, all'esistenza di un sistema bancario che non ha mai tradito il suo rapporto con il territorio e perciò la vocazione a tutelare gli interessi dei cittadini. Ma questo non toglie che se ci fosse stato un governo di centrosinistra tutto sarebbe stato più difficile».   E perché? «Non è un caso che ogni volta che l'Italia si è trovata ad affrontare condizioni particolarmente difficili, soprattutto sotto il profilo economico, le responsabilità di governo sono state affidate a Berlusconi e alle forze politiche del centrodestra. E non per niente il nostro governo ha saputo anche suggerire rimedi e provvedimenti che sono stati di grande aiuto all'Europa per uscire dalla fase più acuta della crisi».

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