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Il presidente della commissione parlamentare di vigilanza ...

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Con 23 voti, due in più del quorum richiesto. E i voti, come la pecunia, non olent. Non profumano né puzzano. Sono voti e tanto basta. Maggioranza sì limpida, dunque. Ma una maggioranza a sorpresa. Perché l'Italia dei valori di Tonino Di Pietro puntava su un cavallo, Leoluca Orlando, che mai e poi mai aveva possibilità di vincere. Infatti, dopo i reiterati no del centrodestra, il designato poteva contare unicamente sull'appoggio di Walter Veltroni. Di qui il patatrac, uno dei tanti, dell'opposizione. Infastidita per il mancato cambio di cavallo, la maggioranza ha riversato i propri voti sul veltroniano Villari, che ha ottenuto anche due voti da parlamentari del centrosinistra. Perciò tutto in regola, anche perché il presidente della vigilanza rai per prassi deve essere un esponente dell'opposizione. Il centrosinistra, vittima della propria incomprensibile ostinazione, ha indossato così i panni dei bravi di manzoniana memoria. Per bocca dei suoi alti papaveri, dopo tante papere ha ingiunto a Villari di rassegnare le dimissioni. Quest'ultimo dapprima ha detto che si sarebbe fatto da parte non appena fosse spuntato un nome condiviso. Ma poi ha ingranato la retromarcia perché il nome di Sergio Zavoli gli è stato notificato a cose fatte. Così si è impuntato e ha fatto il presidente della commissione a pieno titolo. Tant'è che essa si è già riunita cinque volte, e non solo per sbrigare l'ordinaria amministrazione. Espulso dal gruppo del Pd, Villari si è iscritto al gruppo misto. Ma ha più volte dichiarato di non essere intenzionato a fare il salto della quaglia. Eletto nel Pd, lui resta a ogni effetto all'opposizione. I presidenti dei due rami del Parlamento dapprima sono ricorsi nei confronti di Villari alla moral suasion pro bono pacis. Per consentire a Zavoli di succedergli. Date le orecchie da mercante di Villari, ci s'interroga se esista uno strumento giuridico atto a rimuoverlo dalla commissione e perciò anche dalla carica di presidente della medesima. Il presidente del Senato Renato Schifani ha adombrato l'ipotesi della revoca. Ma questa strada non pare percorribile. Difatti in commissione il rapporto tra maggioranza e opposizione non si è alterato. E il passaggio di Villari al gruppo misto è la conseguenza dell'espulsione dal Pd. La revoca da parte dei presidenti delle Camere sarebbe possibile solo qualora chi passasse da un gruppo all'altro fosse l'unico rappresentante del gruppo stesso. Neppure una mozione di sfiducia sarebbe ammissibile in quanto non prevista dall'ordinamento. Tuttavia non occorre avere la scienza giuridica di un Léon Duguit per sapere che là dove c'è potere, c'è responsabilità. E allora la via maestra sarebbe quella di dimissioni in massa dei componenti della commissione. In tal caso i presidenti delle Camere, preso atto dell'impossibilità di operare della commissione, sarebbero tenuti a rinnovarla per intero. Dato l'orientamento dei presidenti delle Camere, a quel simpatico impunito di Villari può capitare però di tutto. Paradossalmente, anche niente.

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