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Veltroni paga l'alleanza con l'Idv

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Questo ha permesso al PDL, recentemente, di difendere Del Turco, un avversario politico, da un accanimento mediatico e da una condanna preventiva che nessuno, colpevole o no, merita. Tutto ciò per dire che anche adesso che stanno emergendo, un po' in tutta Italia, reti di apparente malaffare che coinvolgono esponenti del centrosinistra, tanto da far parlare di una "Tangentopoli" con il Partito democratico nel mirino, non ci stracciamo le vesti e non demonizziamo i nostri avversari. È una questione di coerenza e di onestà intellettuale. E non importa se i nostri avversari politici, o almeno una parte di essi, si è comportata in modo ben diverso nei confronti di Silvio Berlusconi. Non importa nemmeno se un personaggio truce e amorale come Di Pietro sputa sentenze incredibili contro il Presidente del Consiglio e inveisce contro i suoi stessi alleati. Ciò che invece ci interessa rilevare è come il Pd stia pagando un prezzo altissimo, per un curioso contrappasso della storia, a causa dei propri reiterati errori, delle politiche di demonizzazione nei confronti degli avversari politici e dell'abitudine dei propri rappresentanti a dipingere sé stessi come "i migliori", e ad auto-assegnarsi un marchio di illibatezza e un'esclusiva di onestà che, pur essendo solo vuoti slogan, a furia di essere ripetuti avevano scavato un solco profondo nel mondo della comunicazione politica, finendo per ammorbare la cultura italiana con un metodo Minculpop che per i liberali, i socialisti e i democratici risultava difficilissimo da arginare. Ora, proprio questi comportamenti protratti per decenni, proprio questa cultura impregnata di giustizialismo ingigantiscono la clamorosa crisi morale e politica che sembra travolgere il Partito democratico. Sia chiaro: la cosa non può farci felici. Non ci dispiace che a sinistra provino per una volta quello che si prova quando si è nel mirino della magistratura. Né ci dispiace che si rendano via via conto di chi è veramente Antonio Di Pietro: si fidano tanto dell'ex Pm, nel centrosinistra, che fra i rumors più gettonati delle ultime ore ci sarebbe quello che vuole Di Pietro stesso come regista di questa offensiva dei magistrati. Senza entrare nel merito, ci permettiamo perciò di far notare come anche in questo caso Veltroni e i suoi stiano pagando il fio dei propri peccati. L'alleanza con un personaggio come Di Pietro, stretta in origine nel tentativo di salvaguardare e trattenere all'interno del proprio recinto la galassia giustizialista, si è rivelata un clamoroso boomerang per il Pd e per la sua dirigenza. Perché Di Pietro, non smentendo sé stesso, agisce mosso esclusivamente da interessi personali, e non esita a cannibalizzare un Pd sempre più smarrito e fragile a "colpi di cannone": cioè con continue accuse, attacchi, alternati da proposte e agende dettate come se fosse lui il vero e unico leader dell'opposizione. E in fondo un po' è così: perché Veltroni e i suoi, anziché abbracciare il riformismo e la socialdemocrazia di stampo europeo come inizialmente avevano promesso di fare, si sono fermati in una terra di mezzo nella quale tutto era apparentemente concesso: a partire dal dipingersi come moderati e riformisti e contemporaneamente andare a braccetto con il giustizialismo più bieco. Questo è, innanzitutto, un problema culturale. Perché la falsa cultura dei "migliori", dei "puri" e degli "onesti" contrapposti a un mondo di mascalzoni, la vergognosa abitudine a usare le inchieste della magistratura come uno strumento di lotta politica e un giustizialismo di stampo - per l'appunto - dipietrista hanno permesso alla sinistra di dettare legge, sotto certi aspetti, per decenni. Ma, per la loro inconsistenza e falsità, quegli stessi slogan hanno svuotato la sinistra di contenuti, l'hanno fatta ripiegare su sé stessa, costringendola in una sorta di limbo irreale. Erano così abituati a vivere nel mondo delle loro stesse favole, che non si sono resi conto di stare consegnando nelle mani di Di Pietro una larga fetta del proprio elettorato. Un elettorato che nutrito di demonizzazioni degli avversari politici e, dal 1994, di un feroce antiberlusconismo, ha mantenuto fede alle proprie convinzioni e ha abbandonato il partito "né carne né pesce" di Veltroni a favore di chi continua a soddisfare il bisogno di slogan e di aggressività ai quali quell'elettorato si è assuefatto dopo anni e anni di indottrinamento a senso unico. E qui ci ricolleghiamo all'affermazione secondo la quale non ci fa piacere la deriva del Pd. Non è una frase di comodo. È invece la presa d'atto che un partito che non ha saputo evolvere e separarsi dalla propria matrice comunista, anziché approfittare di quest'ultima occasione per correggere il proprio percorso e avviare un reale processo di riforma strutturale e culturale, si sta liquefacendo e sta lasciando spazio a movimenti che, per la loro carica di aggressività e di demagogia, non potranno mai portare nulla di buono al Paese. E il Paese avrebbe invece un bisogno assoluto di un'opposizione seria e responsabile, capace di prendersi anche qualche responsabilità in un periodo in cui siamo chiamati ad affrontare le emergenze che la crisi economica mondiale ci pone di fronte ogni giorno. E certo la necessaria e responsabile "coesione nazionale" che sarebbe auspicabile in questo momento non si può fare con Di Pietro, l'impresentabile demagogo.

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