Veltroni per risorgere s'aggrappa alla destra
Tanto che, ora che le urne sono chiuse, qualcuno degli uomini dell'ex pm si lamenta, dietro promessa di anonimato, del poco impegno profuso in campagna elettorale da Walter Veltroni e dai suoi. Il risultato elettorale è lì a confermarlo. Il candidato Carlo Costantini ha preso meno dei voti della coalizione e il Pd si è fermato poco sopra quota 20%, con l'Idv che si avvicina pericolosamente (ma non tanto da realizzare lo sperato sorpasso) e il Pdl che sfiora addirittura il «doppiaggio». Una disfatta in grande stile. Una disfatta che a via del Nazareno spiegano soprattutto con il basso numero di votanti (52,98% contro il 68,58% del 2005). «Il dato che colpisce - commenta il coordinatore dell'area organizzazione del Pd Giuseppe Fioroni - è l'impressionante calo dell'affluenza. Quasi metà degli aventi diritto non si è recata alle urne: questo impone una profonda riflessione su come favorire la condivisione e la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica e sulla necessità che la politica torni ad essere autorevole». E Veltroni? Il segretario resta in silenzio per tutta la giornata. Anche quando attorno a lui si scatena il finimondo, anche quando i suoi lo attaccano per la scelta miope di allearsi con Antonio Di Pietro, lui tace. Poi, in serata, eccolo ripetere la litania dell'astensionismo: «I dati sono impressionanti. Ha votato il 30% in meno delle politiche. Vuol dire che c'è malessere, stanchezza e anche critica nei nostri confronti». Il segretario non nasconde che il Pd deve «saper fare di più per la moralizzazione della vita pubblica». «Dobbiamo saper essere severi con noi stessi per poter essere severi con gli altri - aggiunge -. Io preferisco pagare un prezzo elettorale subito che compromettere la costruzione di un partito riformista necessario al Paese». Insomma, come sempre il bicchiere di Veltroni è mezzo pieno. Anche se l'impressione è che al leader dei Democratici della tornata elettorale interessi poco o nulla. In fondo negli ultimi giorni la sua strategia è profondamente cambiata. Non riuscendo a riprendere in mano le redini del partito, Veltroni ha deciso di aggirare l'ostacolo, di scavalcarlo. Come? Cercando aiuto nella maggioranza, o meglio in quella parte della maggioranza capace di fare pressione su Silvio Berlusconi. L'obiettivo è chiaro: se riuscisse ad imporsi come interlocutore del governo, anche per la fronda interna al Pd sarebbe più difficile detronizzarlo. Così, negli ultimi giorni, il segretario ha lanciato messaggi inequivocabili. Prima ha bussato alla porta della Lega mettendo in dubbio una possibile intesa sul federalismo, quindi ha teso la mano al governo proponendo un confronto a 360°: dalla giustizia agli incentivi per il settore delle automobili. Ieri si è anche concesso un colloquio di mezz'ora con il presidente della Camera Gianfranco Fini. Un faccia a faccia durante il quale Veltroni ha rilanciato l'idea di istituire una commissione che, in sessanta giorni, «stabilisca come ridare efficienza alla giustizia nell'interesse dei cittadini e delle imprese che devono ritrovare serenità. Ribadisco che sarebbe saggio accettare questa proposta invece di riproporre lo scontro». Il leader del Pd torna quindi a percorrere la strada del confronto esattamente come aveva fatto dopo lo sconfitta elettorale di aprile quando, in risposta ai primi malumori interni, aveva cercato di avviare il dialogo sulle riforme istituzionali. Oggi la situazione è addirittura peggiore di otto mesi fa, ma Veltroni non ha nessuna intenzione di soccombere. Per questo, alla direzione di venerdì, lancerà un messaggio chiaro: io sono il leader e l'unico in grado di parlare con la maggioranza. Il resto sono chiacchiere. Anche le elezioni in Abruzzo.