Tremonti: un uomo solo al comando

Durissima. E soprattutto voleva evolvere il suo ruolo. Non più solo l'«economista di Silvio», non solo l'uomo del no, quello che respinge le richieste, e talvolta la questua, degli altri ministri. Berlusconi gli rispose in maniera suadente ma secca: "Chi meglio di te può affrontare questa situazione così complessa? E poi serve uno che abbia una credibilità europea". Dunque, il governo Berlusconi è nato sull'asse tra il premier e Tremonti. Il quale, tanto per cominciare, non volle Gianni Letta vicepremier perché avrebbe avuto qualcuno, almeno gerarchicamente, tra lui e il presidente del Consiglio. Lo scontro divenne pubblico e i due furono costretti a fare una conferenza stampa assieme per dimostrare che non c'era nessun dissidio. Si potrebbe addirittura dire che è un governo che è stato costruito in larga parte su misura su Giulietto. Non è un caso per esempio che alle Politiche Europee non sia andato un economista di mestiere: Renato Brunetta è stato dirottato sulla Funzione Pubblica sebbene rinforzata anche dell'Innovazione. Così da via XX settembre possono gestire direttamente il delicatissimo rapporto anche con la Commissione. Ma volle, sempre Giulietto, al governo e proprio al Welfare, Maurizio Sacconi che con lui condivide le antiche simpatie socialiste. Tremonti oggi più che mai è un uomo solo al comando. Solo perché in quella posizione non ci può che essere uno incompreso dai suoi colleghi, che ovviamente sognano sempre budget illimitati e si ritrovano un signore che oppone dinieghi. E solo perché ormai è qualcosa di più di un ministro e qualcosa di più anche di un superministro: alle volte parla da premier. Accadde per esempio a Milano, quando a inizio ottobre arrivò alla prima festa del Pdl a piedi, si mise a girare per gli stand come un militante qualsiasi e poi partecipò a un dibattito rispondendo alle domande. Era l'inizio dell'Onda, le proteste degli studenti contro i tagli. Erano proteste e manifestazioni contro la sua politica di riduzione della spesa pubblica ma ad essere additata al pubblico ludibrio ci finì Mariastella Gelmini. Spesso indicata come una marionetta del superministro. Sono stati i momenti più difficili per Tremonti, perché Berlusconi non è rimasto insensibile alla disputa e ha preso le difese della ministra trentaquatrenne. Erano solo le prime avvisaglie. Tra via XX settembre e Palazzo Chigi in quell'ottobre arroventato il clima era diventato davvero pesante. Al punto che il Cavaliere, incontrando il premier rumeno, si lasciò scappare: «Ho un ministro che è antipatico a tutti e comincia ad essere antipatico anche a me». L'interprete rimase in un imbarazzato silenzio ma venne invitata a tradurre parola per parola e tutti pensarono che il riferimento non poteva che essere a Tremonti. Si sono scontrate due filosofie. Economiche, di vita, di governo. La filosofia berlusconiana secondo la quale di crisi non bisogna neanche parlare. Fosse per lui non pronuncerebbe nemmeno la parola. Perché, è il pensiero del premier, i governi non posssono fare tanto. Di più possono gli italiani che, non cambiando abitudini e continuando a spendere, fanno in modo che i tempi peggiori possano trascorrere. E c'è la filosofia tremontiana, quella che il ministro si lasciò scappare con i suoi dirigenti nel viaggio di ritorno dalla missione a Mosca di metà novembre. Nel salottino dell'aereo di Stato, Tremonti, che sempre più ama stare in maniche di camicia, spiegò che la crisi non era ancora arrivata al momento peggiore. Che bisogna attendere che gli effetti si facciano sentire sul'economia reale. Sui giornali campeggiavano i titoli minacciosi della crisi dei giganti americani dell'auto sull'orlo del tracollo. E Giulio spiegò chiaro e tondo la sua linea: se teniamo, teniamo. Che non è un gioco di parole. Ma voleva dire che se teniamo la spesa, ovvero non ci mettiamo a spendere come i matti, teniamo i conti pubblici, non verranno sfondati i parametri di Maastricht. Anche perché l'Italia ci mette poco ad arrivare a quota 4% nel rapporto debito-pil. Il governo ha scelto di dare un aiuto alle famiglie. Quello che poteva. Che si aggiunge al soccorso già compiuto a vantaggio delle banche, primo esecutivo in Europa a prendere un provvedimento del genere. E poi ha provveduto alle imprese. Prima aveva cancellato l'Ici sulla prima casa. Il ministro dell'Economia, consapevole dello tsunami che stava per arrivare, ha anticipato la Finanziaria di fatto a giugno bloccandola per tre anni. Se teniamo, teniamo. Se avesse portato la Manovra in Parlamento in autunno, come consuetudine, nel pieno della bufera finanziaria, sarebbe scoppiato il finomondo. C'ha visto giusto. Dai banchi dell'opposizione non mancano di applaudirlo, ora un po' meno visto che la piazza non lo consente. Ma fintanto era possibile, fino a che il clima politico lo consentisse, era stato Massimo D'Alema, a un convengo organizzato da Formiche, ad eleggerlo uomo di Stato e a riempirlo di elogi. I due, tra l'altro, condividono gli staff. Hanno collaboratori in comune. E si vede. Anche il ministero dell'Economia gli comincia a stare stretto. E sogna sempre più non di andare d'accordo con Palazzo chigi. Ma di espugnarlo.