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La riforma arriverà solo perché la politica vive una situazione di emergenza

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È bastato che esplodesse, fragorosamente, la questione morale che chiama in causa il Partito Democratico, perché le diplomazie dell'uno e dell'altro schieramento si mettessero al lavoro per tentare di riformare l'ordinamento giudiziario. Se ne parla almeno da 15 anni, ma ora finalmente sembra arrivato il momento. E naturalmente perché la sinistra è in affanno e sotto lo schiaffo in una decina di Procure della Repubblica. Luciano Violante, sulla cui onestà intellettuale personalmente non abbiamo mai avuto pregiudizi, ritenendo che le sue posizioni sulla giustizia fossero sempre dettate da un'interpretazione corretta della Costituzione, ha ravvisato nel prepotere di alcuni pubblici ministeri un'invasione di campo inaccettabile. Potremmo dire, meglio tardi che mai. Ma nel caso di Violante sarebbe ingiusto. Poiché l'ex-presidente della Camera non ha mai negato la sua avversione nei confronti della confusione tra i poteri dello Stato, ed oggi che, in maniera diretta, si scaglia contro le perversioni di un giustizialismo degno di uno Stato di polizia significa che il livello di guardia è stato abbondantemente superato. Dunque, se centrodestra e centrosinistra cercano di mettersi d'accordo su una riforma della giustizia che limiti il potere dei pubblici ministeri e magari arrivi alla separazione delle carriere vuol dire che la regressione giudiziaria in Italia ha toccato il fondo. Ma, ci chiediamo, c'era proprio bisogno di attendere che si scoperchiasse la pentola del malaffare delle giunte locali guidate dal Pd perché i due schieramenti provassero a cercare un'intesa sulla necessità di dare un nuovo assetto al potere giudiziario che ha travalicato da tempo i limiti costituzionali per ergersi quale potere assoluto ed antagonista degli altri poteri che qualificano lo Stato di diritto? La sinistra ha la coda di paglia. E, di conseguenza, fa sempre di necessità virtù. Non le sembrò adeguato quando stava per venir fuori dalla Commissione bicamerale del 1998 il lodo sulla giustizia, elaborato da Marco Boato, e si ritirò in tutta fretta. La magistratura fece pressioni tali da mandare a monte l'intero impianto riformatore. Atteggiamento mantenuto in seguito con i risultati che sappiamo. Adesso il governo dovrebbe scendere a compromesso con i pasdaran del tempo che fu. Poco male, se si riuscirà a mettere ordine in un settore vitale come la giustizia. Ma a patto che si riconosca, da parte della sinistra, una miopia dettata dalla sua dipendenza dal potere giudiziario che, come si vede, non ha pagato. È, comunque, insopportabile che qualsiasi provvedimento debba essere fatto sulla spinta delle emergenze. Così è stato per i rifiuti; altrettanto per la scuola; quindi per la criminalità e l'immigrazione. È possibile che la classe politica del nostro Paese non sia in grado di procedere a riforme necessarie soltanto perché ritenute tali, invece che farsele imporre dalle contingenze e, dunque, inficiate dal compromesso con tutte le conseguenze che esso si porta dietro?

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