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Carofiglio: «Se finissi sott'inchiesta mi dimetterei immediatamente»

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Senatore, esiste o no una questione morale all'interno del Pd? «Secondo me esiste una sottovalutazione della questione morale da parte di tutte le forze politiche. In alcuni casi si tratta di un atteggiamento consapevole, e quindi doloso, in altri è inconsapevole, e dunque colposo». Non è preoccupato dal fatto che anche alcune amministrazioni «insospettabili» di centrosinistra siano finite nel mirino della magistratura? «Gli "insospettabili" mi preoccupano sempre perché il più delle volte sono refrattari ad assoggettarsi ai controlli. Io invece penso che occorra controllare e, nel caso, confermare o escludere i sospetti. E questo con scansioni temporali tendenzialmente certe e tali da ridurre lo spazio per gli equivoci e gli effetti collateralii». In che senso? «Le faccio un esempio. Per chi amministra la cosa pubblica è facile, ma non scontato, diventare oggetto di indagini giudiziarie. Il più delle volte, e qui si tratta di un aspetto che mi piace di meno, la notizia diventa pubblica prima che sia terminata l'indagine». E così l'immagine della persona coinvolta viene compromessa per sempre. «Se la fase successiva fosse rapida non ci sarebbero problemi. Invece noi ci troviamo, magari 5 anni dopo, con una persona che viene assolta o condannata, ma in ogni caso un danno è stato fatto. L'intempestività genera questo effetto, negativo e destabilizzante». Quindi lei pensa che un politico protagonista di inchieste giudiziarie non debbe necessariamente dimettersi? «Ho letto una dichiarazione di Sergio Cofferati che diceva: se fosse capitato a me mi sarei dimesso. Io sono d'accordo con lui. Se avessi fatto il sindaco o il presidente di Regione, cosa a cui non aspiro, e ci fosse stata un'iniziativa giudiziaria nei miei confronti, mi sarei dimesso. Mi sembra una scelta politicamente corretta. Questo, però, non significa che io condanni chi non lo fa». In che senso? «Chi non si dimette può avere le proprie ragioni. Può dire che l'indagine è solo una montatura e che non è giusto dimettersi per una indagine che poi cinque anni dopo si risolverà in un nulla di fatto». La colpa, quindi, è del sistema? «Anche. In sistemi diversi chi viene coinvolto in indagini giudiziarie si dimette immediatamente. Ma lì il procedimento si chiude in pochi mesi. In Italia, invece, la situazione è più confusa ed è ben possibile che in inchieste che riguardano gravi illeciti accertati rimangano "impigliate" a lungo anche persone innocenti». Ma la politica non può fare proprio niente? «È difficile, nell'attuale situazione, pensare a regole generali. Prima andrebbero ridefiniti, con una riforma condivisa, equilibrata e non punitiva per la magistratura, i termini del rapporto fra indagini giudiziarie e agire politico amministrativo. Già ora comunque penso che, in caso di rinvio a giudizio per reati gravi, le dimissioni debbano essere immediate». E il Pd, come dovrebbe comportarsi di fronte a ciò che sta accadendo? «Mi sembra che la lettera scritta dal segretario Veltroni al Corriere della Sera dia delle indicazioni forti nelle quali mi riconosco. In termini strategici credo che occorra soprattutto una modernizzazione della classe dirigente, un ricambio generazionale». Certo, se tutti fanno come Antonio Bassolino che rifiuta di dimettersi... «Non entro nel merito delle eventuali ragioni di Bassolino, anche se alcune delle cose che ha dichiarato mi lasciano alquanto perplesso. In particolare dire che bisogna distinguere, in questa materia, il partito dall'istituzione, mi sembra francamente un po' sofistico».

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