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«Pronto a lasciare l'incarico se a rischio la mia autonomia»

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Ma prima chiarisce di non aver fatto lui la telefonata partita dal suo studio per il cellulare di Antonio Saladino, di cui si parla nel decreto di perquisizione dei pm di Salerno, almeno stando a quanto scrivono alcuni giornali. Mancino fa il suo sfogo al Csm, in una giornata densa di colloqui con il Quirinale, e incassa la solidarietà dei consiglieri del Csm, che temono che attraverso lui si voglia colpire il Consiglio, e di esponenti della politica, quasi tutti dell'opposizione. Il numero due di Palazzo dei Marescialli decide di esternare dopo aver visto la rassegna stampa e quel titolo sul «Giornale» che parla di un'intercettazione che lo smentisce, appunto quella chiamata sul telefonino dell'allora presidente della Compagnia delle Opere. Confessa il suo «stato di amarezza» per l'indagine che a quanto scrivono i giornali riguarderebbe lui, l'ex pg della Cassazione Mario Delli Priscoli e il sostituto pg della Cassazione Vito D'Ambrosio che sostenne l'accusa nel procedimento disciplinare che si concluse con la condanna di De Magistris al trasferimento d'ufficio da Catanzaro. E chiarisce subito: con Saladino, che «mi venne presentato da un giovane candidato avellinese nel 1985 in occasione delle elezioni comunali della mia citta», «non ho mai avuto rapporti di alcun genere». Quanto alla telefonata che risale al 30 aprile di sette anni fa, spiega che fu fatta da un suo allora collaboratore, Angelo Arminio, che «in quel periodo intratteneva rapporti personali con Antonio Saladino, con cui condivideva la militanza in Comunione e Liberazione e nella Compagnia delle Opere». Immediata la solidarietà dei consiglieri, che parlano di un «attacco fortissimo» e di «un'operazione per colpire il Consiglio». Sostegno al vice presidente anche dalla politica e soprattutto dall'opposizione: il leader del Pd Walter Veltroni esprime «stima» a Mancino, sottolineandone l'equilibrio e parla di «fuga di notizie incontrollata e priva di qualsiasi riscontro»; Michele Vietti (Udc) ne evidenzia la «lunga militanza al servizio delle istituzioni». Rotondi rileva che «nessuna ombra» può esserci sull'onestà di Mancino e il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia alla Camera Enrico Costa,parla di «illazioni non credibili». Mentre Gaetano Pecorella avverte: se dovesse dimettersi lui, ci sarebbe da rivedere l'attuale Csm».

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