O si riforma la Giustizia o ci rassegnamo alla guerra per bande

Io non me la prendo tanto e soltanto con la magistratura italiana, la quale, abituata da quarant'anni a questa parte a strappare privilegi e spazi di potere ben al di là della Costituzione, sta andando ormai del tutto fuori di testa, travolta da un irrefrenabile delirio di potenza. Me la prendo con il Legislatore che dalle leggi Breganze e Breganzona, primi anni Settanta, ha lasciato campo libero ad ogni pretesa, ad ogni esosità, ad ogni abnormità, l'attuale Csm in testa. Allora, alcuni galantuomi, tra cui Oronzo Reale e Francesco Cossiga, cercarono di opporsi alla irresponsabile politica del calabrache da parte dei partiti di governo e del Parlamento. Invano, perché in gioco c'era il tacito patto scellerato, che legittimò con l'implicita complicità della magistratura il finanziamento illecito ai partiti ed ogni pratica corruttiva da parte della politica. In cambio, la magistratura assicurò i porti delle nebbie e un certo strabismo, riservandosi a futura memoria la possibilità di processare e spazzar via, con interventi chirurgici mirati, soltanto la parte politica che conveniva azzerare. Allora, a Cossiga che giustamente contestava leggi e leggine che trasformavano l'ordine giudiziario in potere, per giunta senza contrappesi, e la categoria togata neanche in semplice corporazione, bensì in casta faraonica, il segretario della Dc, Flaminio Piccoli, oppose una motivazione grave, gravissima, visto che alludeva ad un ricatto di tipo eversivo: dobbiamo varare queste leggi, altrimenti questi ci arrestano tutti. Il Pci, ovviamente, lasciava fare, perché faceva comunque brodo la nascita di una creatura monstrum, che prometteva nel tempo di spezzare il patto con la prima repubblica, per devastare le istituzioni politiche. All'interno del Pci va riconosciuto che solo la pattuglia migliorista, nella quale ebbe un posto di rilievo Giorgio Napolitano, si accorse, strada facendo, negli anni Ottanta del secolo scorso, che lo strapotere dei magistrati sarebbe stato pericoloso per il primato della politica e gli equilibri stessi della res publica. Da notare che, mentre persistevano i porti delle nebbie, già nel 1983, una toga combattente come Gherardo Colombo in un articolo-saggio memorabile teorizzò la fine della terzietà del giudice e l'imperativo della supplenza in termini apertamente politici. Stante il Partito comunista di fatto consociato — quasi il 100% delle leggi passavano col suo consenso — Colombo lanciò l'ipotesi, per non dire l'imperativo categorico, dei magistrati che si ponessero come unica opposizione possibile e incisiva rispetto al regime politico. Ebbene, ora, nel dicembre del 2008, il colpo inaudito della Procura di Salerno ai danni del palazzo di giustizia di Catanzaro suona come uno straripamento di carattere eversivo che preoccupa giustamente il capo dello Stato e il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, sul quale, a mo' di nemesi storica, ricade il medesimo ricatto giudiziario di quello patito da Flaminio Piccoli. In verità, c'è una sola iniziativa da prendere, con o senza le opposizioni, visto che qui è in gioco la tripartizioni dei poteri e la continuità stessa della cornice liberaldemocratica. Bisogna, qui e subito, che Esecutivo e Legislativo mettano mano a quella riforma radicale e profonda dell'ordinamento giudiziario e della intera macchina della giustizia impazzita e sempre più fuori controllo. Adesso o mai più, altrimenti arrendiamoci alla guerra per bande sempiterna e non solo della criminalità organizzata.