Avanti c'è posto, verrebbe voglia di dire ai tanti, fra ...
Il fatto è però che i posti si stanno esaurendo anche davanti, in quella che una volta era solo la saletta dei garantisti, indicati spesso o come poveri ingenui o come complici degli indagati o detenuti per corruzione, concussione, ricettazione ed altri reati che entravano ed uscivano, spesso a capriccio, dai fascicoli delle Procure della Repubblica. Come si fa a non mandare avanti, verso i posti ancora liberi nella ex saletta, ora salone, dei garantisti gli amici ed estimatori di Nicola Mancino, il vice presidente del Csm che si è guadagnato ieri la solidarietà di tutti i suoi colleghi per i venticelli che lo davano in qualche modo coinvolto in alcune indagini? No, non si può, specie se a spingere in altra direzione è il solito Di Pietro. Inchiodare Mancino a una telefonata non sua, fatta nel lontano 2001 su una sua utenza da un collaboratore a chi poi sarebbe finito tra i maggiori indagati di de Magistris, è obbiettivamente ingiusto. E pensare che egli abbia potuto lavorare al vertice del Consiglio Superiore per trasferire in altra sede il magistrato che la Procura di Salerno ritiene vittima di un gigantesco e orripilante complotto, è un peccato troppo grosso perché lo si possa commettere a cuor leggero. Non ci indurrà a tanto neppure una vecchia battuta di Andreotti, convinto che a pensare male si fa peccato ma qualche volta s'indovina. Qualche volta o spesso? Gli fu chiesto una volta da un amico impertinente. E lui rispose: dipende. Ma la musica, almeno ai miei orecchi, cambia quando dalle polemiche esplose ieri sul caso di Mancino,che hanno contribuito a far perdere la pazienza al capo dello Stato di fronte alla guerra allucinante tra le Procure di Salerno e Catanzaro, combattuta a suon di perquisizioni e sequestri, il pensiero passa, o ritorna, a Napoli e al suo sindaco Rosa Russo Iervolino, Rosetta per gli amici. Anche lei si è affacciata nella ex saletta dei garantisti gridando con quella sua voce stridula e sgomitando con gli occhi lucidi del suicidio di un suo ex assessore, che non ha retto al peso delle indagini giudiziarie in corso contro di lui: sia di quelle note sia di quelle sussurrate. Di Rosetta non riesco purtroppo a rimuovere dalla mia testa gli abiti fortemente giustizialisti da lei indossati nella stagione di «mani pulite». Quando le capitò di diventare presidente del Consiglio Nazionale della Dc, peraltro su designazione di Arnaldo Forlani, che si era appena dimesso da segretario per farsi sostituire da Mino Martinazzoli, la Iervolino divenne una furia. Si sentì, o fu avvertita da molti esponenti del suo partito,una specie di Giovanna d'Arco. Bastava che un democristiano ricevesse un avviso di garanzia - ripeto,di garanzia - perché lei ne reclamasse il famoso passo indietro. Era più facile uscire incolume da un interrogatorio con Di Pietro che da un commento della Iervolino. Vi confesso che una volta ebbi la tentazione di avvicinarla alla Camera per manifestarle il mio stupore di garantista. Dovetti rinunciarvi perché prima mostrò di non riconoscermi, poi mi fulminò con uno sguardo di disapprovazione, diciamo così, preventiva. Il giustizialismo l'avrebbe poi portata sulla soglia addirittura del Quirinale. Ora sembra averne scoperto i guasti. Troppo tardi.