Telecom come Alitalia
A far saltare sulla sedia chi tra Palazzo Chigi e via XX settembre ha tra le mani i fascicoli delle crisi aziendali che silenziosamente stanno per presentare il conto ci ha pensato Telecom Italia. Nelle mattinata di ieri l'ad Franco Bernabè ha spiegato alla comunità finanziaria londinese il suo piano industriale per il triennio 2009-2011. Con una novità in più. Il capitolo esuberi è, infatti, lievitato da 5 mila posti a 9 mila. Le parole di Bernabè non hanno lasciato dubbi sulla durezza della ristrutturazione. «Telecom Italia prevede un ulteriore intervento di riduzione degli organici sul perimetro domestico, pari a 4 mila unità oltre alla già prevista riduzione di 5 mila risorse entro il 2010» ha spiegato il numero uno del gruppo telefonico che ha aggiunto che alla fine «l'organico scenderà da 64 mila a 55 mila dipendenti nell'arco del piano triennale». Una scelta necessaria per ridurre il poderoso indebitamento (circa 41 miliardi di euro nel 2007) su cui siede l'azienda ma che significherà anche la inevitabile ripartenza di un nuovo tavolo contrattuale con i sindacati. L'annuncio ha sollevato le proteste delle organizzazioni dei lavoratori che, a settembre, avevano già firmato un piano da 5 mila esuberi al 2010: circa 2 mila entro il 2008, 3 mila l'anno prossimo e poi 2 mila nel 2010 e nel 2011. Un'altra bomba a orologeria insomma è finita sui tavoli dei ministeri economici. Che non sembra abbiano preso proprio bene le intenzioni dell'azienda telefonica. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha messo le mani avanti: «Guarderemo con molta attenzione a questo ulteriore programma di ristrutturazione di Telecom, per vedere se sia davvero necessario alla sopravvivenza e alla crescita di questa società». Come dargli torto. Reduce dalle fatiche per far ridecollare la compagnia di bandiera i tagli del personale di Telecom Italia rischiano di sommarsi alle richieste che stanno per arrivare al Welfare da molte altri grandi nomi del panorama industriale italiano. Prima su tutte la Fiat. La cura dell'ad, Sergio Marchionne, continua a funzionare. Il Lingotto continua a tenere la quota di mercato attorno al 30% ma è inevitabile che comincerà a soffrire le contrazioni degli acquisti nell'intero settore già evidenziate a novembre con un calo delle immatricolazioni del 30%. In sofferenza conclamata ci sono anche la Guzzi Moto, il gruppo Lucchini (acciaio), la Riello di Lecco (elettrodomestici), la Ratti di Como (tessile), Electrolux e Antonio Merloni (elettrodomestici), Pinin Farina e Carrozzerie Bertone (auto), Granarolo, Campari e Unilever (alimentare) e Natuzzi (arredamenti). Fin qui i nomi dei colossi che hanno già avviato procedure con il ministero del lavoro per i sostegni alle ristrutturazioni. A questi si aggiungono i diversi distretti industriali in difficoltà come la la lana a Prato e Biella, la seta a Como, il calzaturiero nelle Marche, il mobile in Puglia e Basilicata, l'orafo ad Arezzo.