Il presidente che fa male ai parrucconi della politica

La cui colpa è notoriamente di essere stato eletto a sorpresa dai commissari di centrodestra e da due dissidenti del centrosinistra,al posto del dipietrista Leoluca Orlando. Che il segretario del Partito Democratico aveva caparbiamente sostenuto per mesi come candidato «di garanzia» dell'opposizione per paura di rompere davvero, non più a parole, l'alleanza con Antonio Di Pietro. Una volta eletto, il senatore Villari ha osato rifiutare ogni tipo di invito a dimettersi per consentire l'elezione di un candidato finalmente concordato tra maggioranza e opposizione, che è l'ex presidente della Rai Sergio Zavoli, anche lui senatore eletto nelle liste del Partito Democratico, come Villari. Che però, non essendosi dimesso dalla Vigilanza, è stato espulso dal gruppo con deliberazione del comitato direttivo presieduto da Anna Finocchiaro. Per nulla rassegnato, Villari ha fatto ricorso obbligando per statuto la Finocchiaro a convocare l'assemblea del gruppo, dove si vorrebbe confermare l'espulsione addirittura senza dibattito, nel timore forse che dal processo a Villari qualcuno scivoli verso un processo al già traballante segretario del partito. A questo punto tuttavia Villari potrebbe rimanere presidente della Vigilanza senza bisogno di avere più un gruppo, e neppure un partito, bastandogli e avanzandogli quello virtuale in formazione attorno a lui come reazione all'ostracismo che sta subendo: un partito di cui ha assunto in qualche modo la guida il sempre e fortunatamente imprevedibile Marco Pannella, al quale fanno compagnia, fra gli altri, Vittorio Sgarbi, Giampaolo Pansa e il ministro Gianfranco Rotondi, che pure era stato il solo nel centrodestra a non contestare la candidatura di Orlando. È un partito, quello virtuale di Villari, che si potrebbe definire dei guastafeste, se questo non fosse il titolo che si è attribuito Di Pietro in un libro appena uscito. Un partito, allora, di benemeriti rompiscatole. Che si augura di non doversi mobilitare anche per difendere l'appartenenza dell'epatologo Villari all'ordine dei medici, se a qualcuno venisse in testa l'idea di chiederne l'espulsione ritenendo che egli non curi, ma procuri il mal di fegato. Almeno ai parrucconi della politica.