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L'ombra del Cavaliere: "Aiutiamo chi ha bisogno"

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Sestino, come semplicemente lo chiamano tutti, non parla mai. È il suggeritor cortese. Per anni è stato l'uomo di Antonio Marzano. Poi il Cavaliere l'ha voluto con sè a Chigi e Grazioli. A fine Consiglio dei ministri mangia, anzi tracanna, un panino e subito dopo una banana. «Il mio pranzo», sospira Giacomoni che non ha avuto neanche il tempo di togliersi il giubotto Moncler. Fuori piove, lui prova rilassarsi dopo la tensione di questi giorni. E riflette: «È stata una grande Manovra. Anche il presidente lo diceva. Siamo intervenuti immediatamente affinché nessuna banca fallisse e nessuna banca è fallita. Siamo intervenuti perché le banche avessero liquidità non per loro ma per le imprese e così è stato. Adesso abbiamo preso un provvedimento per aiutare chi davvero ha bisogno».  Si ferma un attimo, ordina un caffè. D'accordo, però forse è un po' pochino... «Pochino - attacca Giacomoni -? La situazione è quella che è. Ma voglio dire una cosa. Ci sono Paesi che hanno un debito pubblico ben più basso del nostro. Eppure siamo stati i primi, anche stavolta, a fare un decreto. Lo hanno fatto Merkel e Sarkozy? E adesso, scusi, devo andare. Il mio minuto e mezzo per il pranzo è terminato». E inforca la porta d'uscita. Tocca seguirlo, uno degli uomini più vicini al Cav percorre a passo svelto, quasi di corsa il Transatlantico sul tappeto rosso centrale. «E poi i mutui - insiste -. È un intervento importantissimo. Legga bene il testo, aiuterà tutti coloro che hanno fatto un mutuo non a tasso fisso. Se si va sopra il 4%, il resto se lo accolla lo Stato. Certo, c'era il rischio che si finisse con il non premiare chi è stato prudente. Ma noi confidiamo che i tassi scendano nel 2009. Sicuramente a breve. E certamente non saliranno dopo. Intanto abbiamo dato un bell'aiuto a una gran fetta di italiani». Tappa alla toilette per una rapida lavata di mani. Ancora il corridoio a passo svelto. Altra obiezione: è la manovra Tremonti. Giacomoni non si gira neppure, mormora: «È il ministro dell'Economia... E ora scusi, devo lasciarla. Devo andare al bancomat, non ho più in tasca neanche un euro». E allora bisogna riprovare con una piccola provocazione: diciamo che è più la manovra di Tremonti che di Berlusconi. Ma Giacomoni non ci casca: «Sono il ministro dell'Economia e il presidente del Consiglio». E va bene, sta di fatto che la detassazione delle tredicesime non c'è nel decreto. «Ancora con questa storia - riprende il deputato pidiellino -. Tremonti l'ha detto subito che costava otto miliardi. Berlusconi l'ha sempre avuto chiaro, non si è mai sbilanciato. Non era possibile farlo a tutti. Si poteva fare solo ad alcune categorie? E con quale criterio si sceglievano?». E che cosa si poteva fare? «Quello che abbiamo fatto, abbiamo aiutato davvero chi non ce la fa. Il Pd ha insistito tanto sulle tredicesime, qualcuno dei nostri c'è andato dietro. Ma non c'erano le risorse. E poi, sarebbe davvero servito? Secondo i nostri studi gli interventi per i più deboli possono incidere sui consumi. Il ceto medio tende a risparmiare in situazioni come queste». Ancora corridoio. Nuovo interrogativo: ma Berlusconi è riuscito ad incidere? «Che domande. Ma se ancora stamattina, assieme a La Russa, ha fatto inserire anche i premi di produzione per i militari... E ha fatto alzare il tetto a 35mila euro, prima era a 30mila. O sbaglio? Sa quante famiglie in più sono?». Tappa alle caselle postali, quella di Giacomoni trabocca di carte. Ci sono ben quattro giornaletti di partito o affini. Lui alza gli occhi: «E poi mi dite che non c'è da tagliare?». C'è una lettera di Fini che invita a fare versamenti per Telethon, Giacomoni la mette da parte: «Ecco, questo è giusto». C'è un invito di un sindacato per un convegno, lui sorride amaro: «Va bene la difesa dei lavoratori, ma queste iniziative collaterali? Chi le paga?». Ci sono richieste da deputati del Pd, una rassegna stampa, un invito della Bindi. Un invito all'Università. Giacomoni riattacca: «Ha visto cosa è successo? I tg ci hanno raccontato che era scoppiato un nuovo '68, al primo voto la sinistra ha perso. Ma si rende conto? La crisi, la crisi, la crisi: bisognerebbe raccontare solo la verità». E via, nuovo corridoio. «Ora devo proprio andare, arriverderci».  

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