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Il libro dedicato ad Andreotti di Massimo Franco (Mondadori) ...

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Comprendere Andreotti è difficile, anche perché Andreotti stesso ha messo in atto strategie di nascondimento, di sdrammatizzazione, di banalizzazione; ha lasciato scivolare, con sorniona ironia, mezze verità, supposizioni, apparentemente indifferente all'uso spesso strumentale che di quelle informazioni verrà fatto. Ma allora chi è Giulio Andreotti, chi è quest'uomo che ha saputo sopportare infinite accuse con granitico spirito di sopportazione, dipinto dai suoi avversari come il nemico, il Diavolo, eppure da quegli stessi avversari politici ammirato e rispettato? Ecco, forse Giulio Andreotti, prima ancora che un individuo rappresenta l'incarnazione dei tempi e degli eventi che ha vissuto. La battaglia fra libertà e tirannia, fra due mondi lontani e incompatibili, il compendio di conseguenze che quella battaglia ha provocato in tutto il mondo; la posizione geografica e strategica dell'Italia, il Paese in cui è cresciuto e si è sviluppato il più grande Partito Comunista d'Europa. La strada dell'atlantismo temperato dal mediterraneo attraverso il filtro delle strategia di pace del Vaticano. La capacità, e nello stesso tempo la necessità, di adottare politiche diplomatiche delicate con il Medio Oriente, una zona del mondo da trattare con perizia e saggezza, con prudenza e anche con un pizzico di cinismo; i rapporti con l'Africa settentrionale e con la Libia di Gheddafi; la stagione interna del terrorismo, con il suo carico drammatico di morti e di sangue. Giulio Andreotti è riuscito a mantenere freddezza apparente, calma, raziocinio in situazioni che avrebbero sfiancato e messo in difficoltà chiunque. Forse a volte, a guardarlo dall'esterno, poteva sembrare un uomo in balia di eventi più grandi di lui e dei destini del nostro stesso Paese. Eppure quei destini, forse più spesso di quanto noi immaginiamo, forse più spesso di quanto lui ammetterà mai, sono dipesi anche dalle sue capacità, dalla sua mediazione, dalla sua caparbietà politica. Io credo che Andreotti, la sua immagine di uomo scandalo (il suo versante luciferino, misterioso, dannato, come scrive Massimo Franco) sia la risultante di una immagine troppo positiva, edulcorata (politicamente corretta) della storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi. La mia tesi, infatti, è che la storia e la vicenda umana e politica di Andreotti rivela un fondo, un grumo di complessità e di drammaticità della storia italiana di cui nessuna delle letture a cui ho fatto riferimento rende conto completamente. Il contenuto di drammaticità della nostra storia, al di là del mito della Resistenza e di una democrazia progressiva, è riflesso principalmente nella persona di Andreotti, oltre che in quella di Aldo Moro, nelle sue scelte politiche, nei suoi rapporti, nelle sue decisioni, sia a livello nazionale che internazionale. Questa drammaticità, non saprei chiamarla diversamente, si è riflessa duramente anche nelle vicende giudiziarie di Andreotti: immagino il dolore e la sofferenza, sua e della propria famiglia, sopportata con l'aiuto della fede, e con la stessa paziente abnegazione con cui ha affrontato altre difficili prove politiche nel corso della sua vita. Questa drammaticità dello scontro politico in Italia è spesso sottaciuto, silenziato, a favore di una ricostruzione tranquillizzante delle vicende politiche italiane, a cui anche Andreotti ha contribuito. Le accuse e i processi ad Andreotti, la pagina nera della morte di Craxi in esilio, i processi intentati allo stesso Berlusconi confermano che la storia italiana è stata attraversata da una guerra civile latente, per lungo tempo appesa ad un filo, sospesa tra esiti diversi e drammatici. Dopo Tangentopoli e la fine del comunismo, comincia una fase nuova nella vita politica di Andreotti. Come scrive Massimo Franco, la fine della Dc e dell'Urss doveva apparire ad Andreotti un salto nel buio. Forse perché, come ricordava l'ambasciatore Fagiolo, la «guerra fredda» si attagliava alla sua forma mentis. Per Andreotti la trasformazione lenta dei rapporti Est-Ovest non andava accelerata. Da qui la posizione sulla riunificazione della Germania. Questo conservatorismo si può cogliere anche nella nuova epoca che si stava aprendo dopo Tangentopoli, mostrandosi nell'incapacità di prevedere la crisi dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica, crollati non solo sotto l'urto della magistratura ma anche a seguito della crisi di fiducia nei partiti che pur avevano garantito per decenni il progresso e la libertà.

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