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Fisco, quando il Cavaliere provò a salvare Maradona

Diego Armando Maradona

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L'amico che oggi, se venisse in Italia, sarebbe perseguitato dagli uomini di Tremonti per un debito col fisco di oltre 35 milioni, di cui forse il Pibe non porta alcuna responsabilità.Un marchio, quello di "evasore fiscale", che Maradona porta addosso suo malgrado involontariamente, a causa di una vicenda fiscale paradossale. Di questo s'era convinto lo stesso Berlusconi che nel 2003 cercò di aiutare il campione a saldare il suo debito, come hanno raccontato Luca Maurelli e Giuseppe Pedersoli, autori del libro-verità sulla guerra di Diego col fisco italiano, "L'oro del Pibe, paradossi e ingiustizie del fisco italiano, da Maradona al signor Nessuno" (Esi, Edizioni scientifiche italiane, 275 pp, 19 euro). Un rapporto di odio-amore, quello tra Maradona e Berlusconi, che inizia quando il Cavaliere porta via lo scudetto agli azzurri all'ultima giornata del campionato 87-88: è il primo titolo dell"era" berlusconiana, in un triste 1° maggio per i napoletani, che vedono il Milan trionfare al San Paolo. Poi Silvio corteggia Diego, cerca di portarlo nel Milan stellare, lo incontra, i due si piacciono, si scambiano complimenti a distanza, poi Maradona sprofonda nel tunnel della droga. E anche qui Berlusconi c'è, e incontra il suo avvocato, Vincenzo Siniscalchi: siamo nel 1995, primo governo Berlusconi, il Cavaliere vuole Diego come testimonial anti-droga per i ragazzi italiani, ma non se ne fa nulla, Diego non sta bene. Poi le strade tra i due si allontanano, fino al 2003 quando Silvio Berlusconi - su sollecitazione del collegio difensivo di Diego - passa il dossier fiscale su Maradona a Gianni Letta, che a sua volta incarica un funzionario di Palazzo Chigi di studiare la cartella esattoriale del Pibe, nella "stagione dei condoni". Ma al termine di una trattativa segreta tra Palazzo Chigi e il collegio difensivo del Pibe, a Diego fu negata la possibilità di ottenere un maxi-sconto sul suo debito da 35 milioni, che nasceva un'assurda notifica fiscale che nel '91 aveva considerato Maradona "sloggiato e sconosciuto" nella sua villa posillipina dove da tutto il mondo venivano ad osannarlo: una notifica mai ricevuta personalmente dal Pibe e che gli impedì di difendersi nel merito, come invece fecero i due colleghi del Napoli Alemao e Careca, che vinsero in giudizio contro l'Erario. Maradona, invece, è stato condannato fino in Cassazione, non nel merito (su cui era stato assolto anche in sede penale) ma solo per non aver fatto opposizione nei termini previsti. Quanto basta per essere considerato innocente nel rito penale e colpevole in quello tributario. Un paradosso, come raccontano Maurelli, giornalista del "Secolo d'Italia" e Pedersoli, attuale Difensore civico del Comune di Napoli nonché commercialista di Maradona: ecco perché nel 2003 si andò a un passo dalla scrittura di una norma ad personam, anzi, "ad campionem", per il fuoriclasse, ma alla fine Palazzo Chigi non ebbe il coraggio di scriverla. Berlusconi e Letta provarono ad aiutare Diego, poi si fermarono, forse su input di Tremonti, già al centro di polemiche per la deriva condonista del governo. L'8 aprile 2003 Pedersoli venne convocato a Palazzo Chigi e si intrattenne a lungo con un funzionario della presidenza del Consiglio. C'era la possibilità di proporre una soluzione normativa al contenzioso e il difensore del calciatore iniziò a lavorarci, ipotizzando una rimessione in termini che consentisse a Diego di difendersi nel merito. Ma l'11 dicembre 2003 arrivò la doccia fredda, a firma Letta (la lettera originale è nel libro). Niente da fare, Maradona non poteva essere aiutato.  

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