"Combattiamo insieme la camorra"
Ma non sono solo i numeri a fare impressione. Sono anche, e soprattutto, le accuse che i 500 ragazzi presenti rivolgono alle istituzioni. Mafiosi sono i politici, i poliziotti e perfino il Vaticano. Gli unici a salvarsi dal fuoco di fila sono i magistrati in prima linea contro la criminalità organizzata, uomini coraggiosi che però troppo spesso vengono abbandonati, ostaggio di una pericolosa solitudine. Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni ascolta con attenzione. A lungo. In silenzio. Poi esplode: «È vero - concede, parlando al fianco del prefetto Alessandro Pansa e dei rappresentanti delle associazioni antiracket - la classe politica non sempre è all'altezza del compito che le viene affidato. Ma questo non può essere un alibi per non fare nulla. Nessuno di noi da solo può risolvere i problemi. Io farò la mia parte. Voi rimboccatevi le maniche e fate la vostra». Il tour anticamorra del ministro più giovane della storia italiana è un tour de force. Parte dai grattacieli scintillanti del centro direzionale di Napoli, prosegue nei Quartiere Spagnoli, cuore pulsante e degradato della città, e nel «regno dello spaccio» di Scampia, per concludersi a Casal di Principe, la Gomorra di Saviano. Il primo a prendere la parola è Antonio: «La Camorra non si può sconfiggere fino a quando i politici prenderanno stipendi che non si avvicinano minimamente ai nostri - osserva accolto da un boato di approvazione - perché la Camorra nasce dal comportamento scorretto di chi ci governa». Gli fa eco Luigi: «C'è gente delle istituzioni nazionali e regionali che sulla malavita ci mangia e noi non ci possiamo muovere se prima non abbiamo sicurezza». Applausi anche per lui. «Io voglio fare il magistrato e voglio farlo a Napoli contro la Camorra, ma perché i magistrati coraggiosi come Raffaele Cantone (autore di un appello allo Stato perché non abbandoni chi denuncia il pizzo ndr) vengono lasciati soli?», si chiede e chiede una ragazza. Una sua coetanea, infine, rivendica il diritto al superfluo, che diventa essenziale per vivere, anche se si tratta di un'imitazione del vero lusso: «Se uno guadagna poco e compra roba contraffatta fa bene, ognuno ha diritto a una vita dignitosa - spiega - e poi lo Stato Pontificio è il primo rappresentante della Camorra...», aggiunge. Il ministro freme. Lascia parlare ancora i «suoi» giovani. Poi interviene: «La classe politica è spesso inadeguata - ammette - e Giorgia Meloni, anche. Voi lo dovete dire e urlare. Ma non dovete usarlo come alibi, perché siamo in democrazia e cambiare dipende da ciascuno di noi. Io non penso che la dignità della vita dipenda da una borsa di marca, contraffatta o meno. Io posso fare più di voi, e ce la metto tutta. Ma da sola non ce la faccio. Anche voi dovete rimboccarvi le maniche e lottare». Sono parole coraggiose. Potrebbe dar ragione a questi ragazzi. Consolarli con la compiacenza del vittimismo. Invece li sferza. Li incita ad agire in prima persona. E pure per lei scatta la standing ovation. La prima puntata del viaggio è finita. Si prosegue nella chiesa cinquecentesca di Sant'Anna, ai Quartieri Spagnoli, dove Meloni riceve in regalo un rotolo di disegni dei bambini e inaugura la seconda edizione del progetto «Educainfanzia» per il doposcuola e l'assistenza ai minori. Quindi si riparte per Scampia. Nella palestra di judo dei Maddaloni il ministro incontra cento ragazzi schierati sul tatami. «Ciao ministro!», urlano in coro. La più piccola si chiama Assunta, ha cinque anni, e un desiderio: «Io vorrei stare tutto il giorno qui», sussurra. Meloni promette una sovvenzione ministeriale di 20mila euro per la struttura gratuita ma rimasta senza fondi, utilizzando i 5 milioni previsti dal ddl sulle Comunità giovanili che, però, deve essere approvato in Parlamento. L'ultima fermata è fuori città, in provincia di Caserta, a Casal di Principe. Al ministro vengono presentati una decina di nuovi «vigilini» assunti a contratto a termine di tre mesi per 500 euro mensili: «Qui ci sono giovani che combattono la Camorra anche se hanno parenti camorristi», racconta uno di loro. La ricetta del ministro è articolata. Ma il messaggio è chiaro e sintetico: «I casalesi non sono un clan ma gli abitanti di un comune che ha un problema di criminalità e che vuole combatterla. Se ognuno di voi convince dieci amici a lottare e e questi ne convincono altri dieci saremo tanti. Saremo noi, allora, il branco».