Fabrizio dell'Orefice f.dellorefice@iltempo.it Più che ...
Semplicemente a un suo sì o a un suo no. E, visto che questo simpatico imprenditore ottantenne nato a Padova ma emigrato in Argentina giovanissimo ha capito quanto fosse importante anche soltanto una sua alzata di sopracciglia, ad un certo punto ha cominciato a pronunciare sempre «ni». Mezze frasi. Semi-affermazioni. Sempre pronto a far pendere il suo pensiero da una parte o dall'altra. E tutti pronti a offrirgli di tutto e di più pur di tirarselo dalla propria parte. Lui è il senatore. O meglio, el senador Pallaro. Eletto in una lista indipendente nel 2006, le prime che porteranno nel Parlamento italiano italiani eletti all'estero. Certo, nessuno avrebbe immaginato che il suo voto diventasse determinante per la formazione di una maggioranza. E così, dopo aver detto di ispirarsi ad Andreotti e comunque di votare sempre a favore del governo, Pallaro comprende i giochetti della politica italiana. Se un suo sì può tenere o meno in piedi Prodi ad ogni passaggio decisivo si mantiene sul vago sino all'ultimo istante. Immorale? È la politica, bellezza. Gli italiani gli sono sostanzialmente riconoscenti: continuano a pagarlo. Sì, a pagarlo. Con soldi. Soldi veri. Quasi 100mila euro all'anno. Regolari, come un orologio svizzero. Anche se Pallaro stavolta non è stato nemmeno rieletto. Anche se non siede più in Parlamento. Sono i fondi del finanziamento pubblico ai partiti, più volte sbattuto fuori dalle leggi con referendum e puntualmente rientrato dalla finestra sotto mentite spoglie: le ultime sono quelle del rimborso elettorale, un sistema che di fatto consentito alle formazioni politiche di incassare soldini indipendentemente dal fatto che abbiano avuto eletti o no. Il meccanismo infatti si regge sulla base dei voti avuti. La lista Associazioni italiane in Sudamerica, guidata da Pallaro, avrà 58.556 euro per le elezioni dell'aprile 2006, anche se la legislatura si è interrotta ancora prima di effettuare il giro di boa. E altri 37.745 invece li riceverà per la consultazione elettorale. Totale: 96.301. Ogni anno. I primi assicurati sino al 2011, i secondi sino al 2013. Eppure nei suoi ventitre mesi da senatore, Pallaro (si diceva avesse un impero industriale da 25 milioni di euro, al Senato dichiarava un reddito annuo di 84mila) ha già ottenuto l'impossibile. Cominciò già al primo giro di Finanziaria, quando improvvisamente e proprio nel rush finale del dibattito, guarda caso nel traballante Senato, spunta un emendamentino che assegna 14 milioni di euro per le attività degli italiani all'estero. Il centrodestra insorge, non serve a nulla. Quando si torna a Palazzo Madama, e siamo alla fine del 2006, il finanziamento sale a 52 milioni. Perché si tratta di 14 milioni all'anno per tre anni a cui vanno aggiunti anche 10 per attività collaterali. Ma el senador ormai ha capito come funziona. E così, alla crisi del successivo febbraio, sparisce. Non fa sapere per chi vota. Circola la voce che sia contrario. Viene chiamato a Palazzo Chigi il giorno prima del voto di fiducia. Ma il pomeriggio successivo, siamo al 28 febbraio, non si fa vedere. I telefoni della sua segreteria squillano a vuoto. Per ore si rincorrono le voci. Ci pensa anche Francesco Cossiga a metterci del suo perché annuncia che per convincerlo a votare a favore è stato necessario un intervento del ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, presso il presidnete dell'Argentina, Kirkner, amico di Pallaro. Lui, il senatore italoargentino si presenta in aula entrando da un corridoio laterale. Vota sì. A marzo nuovo voto di fiducia e nuova guirandola di indiscrezioni, di sospetti. Lui riconferma il sì e rilascia una dichiarazione singolare: «Qualcuno dice che il partito che governa deve avere la maggioranza ma per me quando una legge è votata a maggioranza non importa da dove vengono i voti, l'importante è arrivare ai numeri, fare quello che interessa all'Italia e non ai singoli gruppi». E che vuol dire? Neanhce Prodi lo capisce e lo rinvita a Palaazo Chigi. All'uscita s'affretta a far sapere: «Non ho incontrato il presidente del Consiglio ma sono stato qui per una visita di cortesia ad un amico». Quale amico? Boh. La pantomima non piace al Quirinale, e Pallaro ad aprile sale sul Colle. Continua a votare per Prodi ma i suoi sì si fanno sempre meno convinti. A settembre c'è una mozione Bordon-Manzione che sembra altro tritolo alle fondamenta dell'esecutivo. Lui annuncia: «Voterò la risoluzione Manzione perché è un buon testo, ma tanto non cambia nulla, la Rai ha sempre funzionato e continuerà a funzionare».. A ottobre viene visto entrare di soppiatto a Palazzo Grazioli, residenza di Berlusconi. Accorrono i giornalisti. Quando esce si mantiene sul vago. «È vero, ho incontrato Silvio Berlusconi, ma sono leale a Prodi che non cadrà per mano mia». Si mette all'asta: «Sono un senatore indipendente e questa è stata una visita di cortesia, così come tante altre volte ho visto Prodi. Sono visite che faccio sempre». Nuove voci di una caduta prossima del governo. Si parla di novembre, per quando si deve votare la Finanziaria. si taglia dappertutto. Non si trovano soldi per le scuole, per la tutela del patrimonio artistico, per coloro che hanno contratto l'epatite per colpa di una sìtrasfusione di sangue sbagliata, si tagliano le sedi diplomatiche all'estero. Ma per gli imprenditori all'estero sì. Spunta un nuovo emendamento, il 21 bis, che stavolta assegna altri 20 milioni, che si aggungono ai 52 precedentio e fanno 72. E lui? È sempre meno chiaro. I suoi sì e no diventano sempre più granitici ni. Del tipo: «La Finanziaria la voto ma poi sui singoli articoli non voto in blocco, sono indipendente e alla mia età so come fare le scelte». Non viene rieletto. Da Buenos Aires confessa che i milioni per gli italiani all'estero stanno arrivando. Fa sapere: «Nei due anni al Senato mi sono divertito». E io pago, direbbe Totò.