Il rischio delle scelte
Tale illusione continuò negli anni '90. Tutto il mondo emergente e quello già emerso continuarono a fare crescita attraverso il commercio internazionale centrato sull'enorme volume di importazioni del mercato americano. Ciò ne consolidò modelli nazionali anomali: poca crescita per forza propria del mercato interno bilanciata da molto Pil fatto via esportazioni direttamente o indirettamente trainate dalla locomotiva americana. Ma l'America era ormai diventata troppo piccola per reggere tale pressione e iniziò, con evidenza ai primi del 2000, a mostrare segni di stress strutturale: deficit commerciale ingestibile e conseguente indebolimento del dollaro, eccesso di fatica concorrenziale sulla classe media. La combinazione tra questi fenomeni strutturali e le crisi contingenti del 2008 ha portato la popolazione americana a dire basta: non ce la facciamo più. La vittoria di Obama, non a caso portatore di un'invocazione di cambiamento, è la conseguenza di questo «basta» dell'America. Con McCain sarebbe rimasto il dubbio che l'America «possa» continuare a reggere l'economia e la sicurezza mondiali, ma non quello che voglia. Con Obama si aggiunge quello che «voglia». Il neopresidente ha promesso un ritiro dagli affari mondiali (vero significato del linguaggio multilateralista) ed un riaggiustamento degli squilibri economici americani via politiche di fatto socialiste (tassazione del capitale, assistenzialismi diretti, ecc.) e protezioniste. Sul piano della sicurezza probabilmente non cambierà così tanto. Ma su quello economico potrebbe cambiare molto in quanto un governo ed una maggioranza parlamentare di sinistra è difficile che la porti ad una crescita tale da trainare l'intero pianeta come nel passato. Se questo succedesse Asia ed Europa, ed in questa Germania ed Italia più di altri, dovrebbero bilanciare con più crescita interna la riduzione di quella generata via export. Forse non succederà del tutto, speriamo, ma qualcosa lungo questa linea certamente ci sarà. Pertanto la vittoria di Obama — per l'Asia è un incubo — pone l'Europa e l'Italia nella difficilissima situazione di dover cambiare modello economico senza che vi sia il consenso per farlo. Immaginatevi la destabilizzazione possibile. Soluzioni? Due, combinate: organizzare un governo europeo dell'economia che possa rifinanziare con consenso la riforma dell'euromercato per dargli più potenziale di crescita interna; parallelamente, avviare un mercato euroamericano e la convergenza tra euro e dollaro, anche per salvare il primo dal collasso prospettico. In conclusione, aggiungere alla locomotiva globale americana cedente una europea crescente. L'interesse nazionale italiano prioritario è quello di fare di tutto affinché tale soluzione si avveri perché non ce ne sono altre. Carlo Pelanda