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Le conseguenze per l'Europa del protezionismo Usa

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Obama a Capo dello Stato e del Governo americano. Il quadro in cui si svolgerà la politica economica degli Usa tanto nei prossimi mesi quanto nel più lungo periodo è caratterizzato da questi elementi: a) un forte rallentamento dell'economia reale (da una crescita del pil dell'1,6% nel 2008 ad una prevista dello 0,5% per il 2009); b) un'accelerazione dell'inflazione (dal 2,8% l'anno 12 mesi fa al 4,5% all'ultima conta); c) un tasso di disoccupazione analogo a quello dell'Italia (6,1-6,6%) e, come nel nostro Paese, mal distribuito nel territorio; d) un deficit dei conti con l'estero di 700 miliardi di dollari l'anno ed uno stock di debito estero pari a oltre 2,5 trilioni di dollari; e) un debito pubblico interno di oltre 10 trilioni di dollari, detenuto per circa il 45% da stranieri, per lo più banche centrali (come quelle della Cina e del Giappone). Questo quadro s'inserisce in un contesto mondiale in cui, per parafrasare il bel titolo dell'ultimo libro di Giovanni Magnifico (Luiss University Press 2008), si vedono soltanto «spiragli di soluzione» alla più grave crisi finanziaria dal 1929. Come risponderà l'Amministrazione Obama? I programmi economici presentati in campagna elettorale riguardano principalmente la strategia interna, ma hanno profonde ripercussioni sul resto del mondo. Hanno un forte afflato redistributivo: il loro punto centrale è dare una copertura assicurativa sanitaria ai 40 milioni di americani che ne sono privi. Nell'ultimo fascicolo del «Journal of Economic Literature», Jonathan Gruber passa in rassegna circa 200 saggi su questo tema: se le misure specifiche, peraltro mai annunciate, non sono coniugate con strumenti per ridurre l'escalation dei costi nella sanità, ci sarà un ulteriore aumento del disavanzo di bilancio e di stock del debito pubblico, Robert E. Rubin, ex-Segretario al Tesoro dell'Amministrazione Clinton (quindi al di fuori di ogni sospetto di partigianeria), ha indicato che ciò vorrà dire tassi d'interesse a lungo termine alti e crescita bassa. Gli squilibri internazionali saranno aggravati, non alleviati. Sul piano della politica economica estera, il programma con cui Obama ha chiesto il suffragio degli elettori è impregnato di protezionismo durissimo (che farà esplodere tensioni con la Cina, con il Canada, con il Messico, con l'Ue e rischierà di seppellire il Wto). Basta scorrere l'elenco di chi ha finanziato la campagna elettorale per toccare con mano come tale programma contiene concessioni alle lobby più disparate e più contraddittorie il cui unico nesso è la difesa del «made in Usa». Ciò poco si concilia con il conclamato «multilateralismo» in politica estera, apparso peraltro unicamente nelle ultime settimane della campagna elettorale. Verosimilmente, assisteremo al ritorno di un'America tendenzialmente isolazionista, disposta, all'insegna del «benign neglect» a fare scivolare ulteriormente il tasso di cambio del dollaro e non in grado d'offrire leadership nel riassetto dell'economia e della finanza internazionale. Per l'Europa ciò vuol dire un rischio (nuove tensioni nel riassetto degli squilibri finanziari mondiali) ma anche un'opportunità (assumere di nuovo un ruolo di rilievo nel quadro economico mondiale). Smettere, cioè, di stare a rimorchio o di essere il fanalino di coda del carro dei Paesi industrializzati ad economia di mercato.

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