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Quella legge su cui si giocano mille partite

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Ieri pomeriggio Silvio Berlusconi, per mettere a tacere le proteste dell'opposizione, ha rimandato la proposta di legge sulla riforma elettorale in commissione affari costituzionali. Dalla quale era uscita solo pochi giorni fa. «Sapete che non c'è un disegno di legge del governo — ha spiegato il premier — è una cosa parlamentare. Se il Parlamento decide di trovare un accordo bene. Altrimenti votiamo con la legge attuale che a noi va benissimo». Una mossa che serve a rimandare la palla nel campo del Pd e a spingere Veltroni a prendere una decisione. «Per il segretario del Pd — spiega il senatore di An Andrea Augello — la vera battaglia non è sulle preferenze ma sulla soglia di sbarramento. A lui va benissimo che ci sia perché in questo modo alle europee riesce a prendere anche i parlamentari della sinistra radicale che non saranno eletti. Ma siccome sta portando avanti la battaglia con Casini, vuole scendere almeno al 3 per cento per non avere una soglia che potrebbe spaventare il leader dell'Udc». Tutti i parlamentari dei partiti che non vengono eletti vanno infatti a finire nella «pancia» delle formazioni che raggiungono il quorum. E in questo modo il Pd, alle prossime elezioni, potrebbe aumentare il numero dei suoi attuali rappresentanti fagocitando quelli della sinistra. Berlusconi, che conosce il suo avversario e che non vuole farsi trascinare nell'ennesima polemica sul governo che decide tutto da solo senza discutere con l'opposizione, ha lasciato Veltroni con il cerino in mano. Avvertendolo che, se non si decide a dire chiaro e tondo quello che vuole e a trovare una soluzione, il Pdl può tranquillamente tornare a votare con la legge attuale. Che, per il Pd, sarebbe una vera e propria iattura perché, non essendoci sbarramento, consentirebbe a tutti i partiti, anche quelli in formato mignon, di portare propri eletti al Parlamento europeo. La seconda partita che invece stanno giocando un buon numero di parlamentari è quella sull'altro aspetto della nuova legge elettorale, la cancellazione delle preferenze. Una battaglia nella quale si saldano insieme esponenti dell'opposizione e della maggioranza. Nel Pd, ad esempio, Massimo D'Alema vorrebbe tenere le preferenze perché ha in mano i voti per far eleggere i suoi uomini. Mentre Veltroni preferisce le liste bloccate che gli consentono di sistemare tutti i suoi uomini senza doverli far scendere sul terreno della ricerca del voto. Ma anche dentro il Pdl c'è molta insofferenza. I parlamentari del centrodestra, esclusi i capigruppo e i loro vice che finiscono in televisione per qualche dichiarazione, hanno ormai un potere di prendere decisioni praticamente nullo. «Con il sistema delle liste bloccate — spiega Vincenzo Piso, deputato di An — oggi viene eletto solo chi piace al capo del partito. E di conseguenza non si muovono più critiche perché poi ale prossime elezioni si rischia di essere esclusi. Se passa questo principio anche per le europee è veramente finita, ci saranno solo partiti-padroni». Per questo in aula si stava preprando un'ampia fronda trasversale pronta a bocciare la proposta di legge del governo. Una mina che Berlusconi ha disinnescato rimandando il testo di nuovo in commissione. E l'opinione dei più è che lì resterà. Anche per motivi di tempo. La nuova legge elettorale dovrebbe essere approvata entro dicembre ma già a metà novembre inizierà la discussione sulla Finanziaria. E a quel punto la riforma per le europee finirà nel dimenticatoio. A meno che Veltroni non si decida, velocemente, a fare un passo.

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